giovedì 4 gennaio 2024
Lo sbarco dei 336 profughi della Geo B. a Ravenna riapre lo scontro con i territori. Fronte bipartisan dei primi cittadini sulla gestione degli arrivi
Nell'Odissea degli ultimi i sindaci lasciati sempre più soli

Ansa

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Come un anno fa. Peggio di un anno fa. Il 31 dicembre 2022 a Ravenna sbarcarono 113 persone. Ieri, nello stesso porto, erano 336 a scendere dalla scaletta della Geo Barents. Ad accoglierli, ancora una volta, l’encomiabile macchina organizzativa del Comune di Ravenna: personale sanitario per i primi screening, mediatori culturali, forze dell'ordine e di polizia e soprattutto tanti volontari.

«Alcuni abbiamo dovuto lasciarli a casa, avendo avuto fin troppe richieste: c’erano ad esempio gli scout a preparare il thé caldo» racconta Michele de Pascale, sindaco di Ravenna, che era presente durante le operazioni di sbarco. «Per noi, essere organizzati quando in una sola notte arrivano così tante persone, è un fatto innanzitutto di umanità. È il nostro tratto distintivo, forse è anche una risposta alla disumanità e alla disorganizzazione con cui i migranti vengono normalmente accolti nel nostro Paese».

De Pascale e tanti colleghi sindaci, indipendentemente dal colore politico, si sentono sempre più isolati. Per il primo cittadino ravennate, il problema è il governo. «È evidente che, dopo un anno, tutte le promesse elettorali sono finite nel vuoto. Gli sbarchi continuano ad aumentare e chi vaticinava soluzioni miracolose per fermare tutto è stato clamorosamente smentito. Adesso servirebbe una strategia di programmazione, visto che il fenomeno dei flussi verso il nostro Paese è destinato a durare». Non usa parole tanto diverse Pierluigi Peracchini, primo cittadino di La Spezia, eletto in quota centrodestra. «Le istituzioni nazionali sono lente, sono lontane. Noi dobbiamo gestire l’emergenza subito, invece, e questo è un tema più grande di noi, che va affrontato a livello ministeriale o regionale». La difficoltà, nel centro ligure, è anche quella di veder mutare improvvisamente la fisionomia della propria gente, nel tempo, e non poter fare nulla, oltre al molto che già si fa d’accordo col Terzo settore, le Caritas e le parrocchie. «In 6 anni è cambiato tutto - spiega Peracchini - : su 93mila abitanti, 18mila a La Spezia sono stranieri, di cui 5mila con cittadinanza italiana e 13mila di altra nazionalità. Abbiamo un enorme problema chiamato casa e non riusciamo a reperire spazi per chi arriva, anche chiedendo l’utilizzo delle strutture militari».

Come coordinare gli arrivi di profughi sbarcati sulle isole, evitando di creare allarme sociale? Dall’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni, risponde Matteo Biffoni, responsabile per le politiche dei migranti e primo cittadino di Prato. «L’accoglienza è un tema che interessa sempre di meno la politica nazionale, perché costa lavoro sul territorio e non porta consenso - spiega -. In realtà, come sistema dei Comuni, siamo ormai in grado di prevedere i numeri, i flussi, le tendenze. Abbiamo uno “storico”, che ci permette di fare statistiche e di non restare spiazzati neppure di fronte alle emergenze - spiega Biffoni -. Basta volerlo: siamo in grado noi sindaci, insieme al Viminale e al Terzo settore, di metterci tutti intorno a un tavolo? Quanti posti abbiamo?». Nessuno ad esempio, tra gli addetti ai lavori, crede davvero che i 155mila profughi giunti nel 2023 rappresentino un picco ingestibile sui territori: in altri anni si toccò quota 180mila e il sistema dimostrò di poter tenere senza problemi. «La verità - continua Biffoni - è che bisogna sapersi organizzare, prevedendo ad esempio hub regionali di primissima accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, come stabilisce la legge Zampa». Anche Peracchini da La Spezia è d’accordo. «Noi vogliamo dare una mano a tutti, ma adesso occorre una programmazione dei percorsi d’accoglienza, con l’insegnamento della lingua italiana e un po’ di integrazione».

Il sindaco di Ravenna, che nella sua provincia sta seguendo oltre 1.500 richiedenti asilo tra grandi strutture (i Cas) e quel che resta dell’accoglienza diffusa (i Sai) ricorda di aver proposto al governo un confronto continuo sulla filiera dell’integrazione: ragazzi a scuola, manodopera per le aziende. «Agli incontri con l’esecutivo dicevo: mi mettete nelle condizioni di poter programmare? Ci possiamo sedere a ragionare insieme? La risposta è stata: no, non se ne deve parlare...».

Quel che tutti pensano, e che ammettono a bassa voce, è che in questi mesi, fallita la strategia del respingimento e della chiusura delle frontiere, si stia concretizzando un’altra “teoria”: quella dell’invisibilità. I migranti devono cioè sparire dall’agenda non solo della politica, ma anche della vita cittadina. Per questo, in molti casi vengono trasferiti nelle periferie delle metropoli e nelle aree ai margini delle province, tra hangar aeroportuali diroccati e fabbriche dismesse. «Vogliono solo che se ne vadano e, se non se ne vanno, che diventino clandestini». Per questo la caccia ai posti letto per i migranti procede sottotraccia, scuotendo quanto basta l’attività delle Prefetture, con risultati finora inferiori alle attese. Da una parte quando si fanno i bandi per Cas, spesso non arrivano risposte e non solo perché le condizioni economiche proposte sono svantaggiose. Gli spazi non ci sono, il personale per seguire chi arriva dal mare o dalla terraferma è troppo poco e le pratiche vengono seguite dalle Questure a ritmi lenti. Così, finiti gli spazi nelle strutture pubbliche, riempiti i centri allestiti da Caritas e Terzo settore, si finisce per tornare agli alberghi, come è accaduto recentemente a Montecatini.

Poi c’è il nodo dei centri in cui convivono stranieri adulti e minori stranieri non accompagnati, un progetto destinato a essere cancellato a colpi di sentenze dalla magistratura. «È stato inevitabile prevedere procedure emergenziali da attivare in tali casi, ma sempre nel rispetto della condizione di minore età - ha risposto in un’intervista a fine anno il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi -. Quando si hanno responsabilità di concreta gestione di un fenomeno così complesso, si deve coniugare pragmatismo ai bei principi» ha spiegato. Da ultimo, stanno spuntando qua e là i nuovi centri di transito temporaneo, lontani dagli occhi dell’opinione pubblica. Anche su questo, il Viminale ha sottolineato come «dovrebbe essere interesse di tutti contrastare l’immigrazione irregolare e i riflessi problematici che comporta sul territorio in termini di insicurezza e degrado». La risposta arriva ancora da Ravenna. «Se lo Stato fa lo Stato - dice de Pascale - i cittadini non hanno problemi e si mostrano a loro volta accoglienti».

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