Nel deserto al confine con la Libia, dopo Ben Gardane, nell’inferno chiamato “Punto Zero” ci sono ancora 70 migranti subsahariani espulsi da Sfax dalle autorità tunisine dopo gli scontri etnici del 3 luglio. Dove la temperatura di giorno sfiora i 50 gradi sono senza acqua, cibo o riparo e secondo Al Jazeera, tre giorni fa è morto di stenti un giovane, abbandonato insepolto nella sabbia. Nel gruppo ci sono una donna incinta e due bambini le cui condizioni di salute sono definite serie. La Mezzaluna rossa tunisina non può raggiungerli perché si trovano in una terra di nessuno ubicata già in territorio libico e ogni ora che passa rischiano di morire. A meno che Tunisi, dopo averli deportati, non cambi ancora idea. Lo ha già fatto lunedì scorso con un gruppo più numeroso di espulsi, tutti rigorosamente con la pelle scura. E probabilmente ce ne sono altri 100 nelle sabbie infernali.
«I primi 600 migranti evacuati da Sfax ed espulsi in Libia - spiega Salsabil Chellali, direttrice di Human rights watch Tunisia, che ha denunciato la violenza dei poliziotti tunisini e le espulsioni illegali - sono stati redistribuiti il 10 luglio in alcune città del sud in scuole e messe a disposizione dalle autorità».
Le quali, alla vigilia della visita di oggi a Tunisi della troika europea composta da Ursula Von der Leyen, Giorgia Meloni e l’olandese Mark Rutte per discutere del memorandum Ue-Tunisia , hanno dovuto metterci una pezza. Kais Saied, il presidente autocrate, non poteva permettersi una strage nel deserto davanti all’opinione pubblica degli stati occidentali, dai cui aiuti dipende per salvare il paese dal fallimento. Ma l’ambiente resta ostile, la società civile tunisina denuncia il razzismo. A Ben Gardane, il sindacato scolastico ha diramato un documento finito sui social in cui dichiara che non vuole gli stranieri salvati nel deserto. Anche al montagnoso confine algerino si nascondono dalle pattuglie della polizia almeno 200 persone, tra cui donne e bambini, provenienti da Camerun e Mali. Tutti in transito e intenzionati a raggiungere Sfax, la capitale economica e industriale tunisina che offre opportunità di lavoro anche in nero per pagarsi un viaggio in barca illegale per Lampedusa. La situazione in città è tesa. Alcune centinaia di migranti sono stati pestati e buttati fuori casa nei pogrom seguiti all’omicidio di un tunisino lo scorso 2 luglio nei quartieri poveri di Sakiet Eddaier e El Amra e dormono nei giardini pubblici. La situazione è precipitata per l’ondata anomala di arrivi negli ultimi tre mesi dalla Libia, spiegano i responsabili delle Ong. Sono soprattutto giovani ciadiani e maliani in transito, intenzionati a partire in barca verso l’Italia e molto più aggressivi degli ivoriani e camerunensi che volevano restare nel paese per lavorare e studiare.
Oliviero Forti (Caritas): si rischia la tempesta perfetta. Senza il prestito del Fondo monetario e gli aiuti europei è in gioco un esodo di massa anche dei tunisini
Quali sono le cause di questi arrivi che lo stato tunisino non quantifica? L’agenzia Ue Frontex incolpa gli “sconti” sulle partenze praticati dai trafficanti tunisini dopo le mareggiate di maggio ai migranti subsahariani che preferiscono partire dal paese maghrebino, meno pericoloso della vicina Libia. Difficile non vederci il gioco al rialzo di Saied che sul modello del turco Erdogan vuole più soldi dall’Ue nonostante abbia dichiarato che non farà la guardia di frontiera per Bruxelles.
«Spero invece - auspica l’arcivescovo di Ferrara Giancarlo Perego, presidente della Migrantes - che non sia un terzo accordo come quello con Turchia e Libia, che non riconosca i diritti di chi fugge e arriva in Tunisia per andare verso l'Europa e che ha bisogno di protezione internazionale. Spero che gli interessi economici non siano superiori all'attenzione per i volti e le storie di migranti che attraversano il Mediterraneo. Spero che solidarietà e giustizia siano più importanti di profitto e guadagno».
«La Tunisia - sostiene Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana - rischia la tempesta perfetta. Se non ottiene 1,9 miliardi di prestito dal Fondo monetario e gli aiuti economici europei rischia di fallire. E a quel punto si rischia un esodo di massa anche dei tunisini. Ue e Italia pretendano in cambio il rispetto dei diritti umani dei migranti».
Invece Saied continua a gettare benzina sul fuoco. Venerdì ha tuonato contro l’inumanità dell’immigrazione irregolare, affermando che dai paesi africani sarebbero arrivati via posta e money transfer tre miliardi di dinari (un miliardo di euro) agli irregolari. Segno, secondo l’autocrate, che il paese è attaccato dai network criminali. Eppure, stando a una vecchia inchiesta della testata online tunisina Inkyfada, il paese avrebbe ricevuto dalla Ue più di 55 milioni per fermare i migranti. In realtà dal deserto al mare il presidente sta giocando sulla pelle dei migranti la sua partita decisiva.