lunedì 22 gennaio 2024
Il presidente emerito della Corte costituzionale: va anche prevista l'obiezione di coscienza
Il costituzionalista Giovanni Maria

Il costituzionalista Giovanni Maria - ANSA/STEFANO PORTA

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«Le leggi regionali invece di risolvere a volte rischiano di complicare, ma una legge nazionale, come chiede la stessa Corte costituzionale, è assolutamente necessaria», sostiene Giovanni Maria Flick. L’ex Guardasigilli e presidente emerito della Consulta, alla luce delle polemiche sulla proposta di legge del Veneto e, ora, del nuovo caso sollevato a Firenze, conferma la sua convinzione: «Serve una norma per regolare i casi di non punibilità del “suicidio medicalmente assistito”, entro i limiti ristretti previsti dal pronunciamento della Corte del settembre 2019».

Che cosa dovrebbe definire la nuova normativa?

Dovrebbe andare a definire nei dettagli gli obblighi del medico e della struttura sanitaria e le modalità di esecuzione dell’autosomministrazione da parte del paziente che deve avvenire, appunto, con il controllo medico e della struttura sanitaria. Dovrebbe inoltre disciplinare, a mio avviso, il ricorso all’obiezione di coscienza.

Il Veneto, invece, rischiava di innescare il “fai-da-te” istituzionale...

La proposta mirava a regolare le modalità di verifica delle condizioni di accesso alla prestazione, con la istituzione di una Commissione medica multidisciplinare e la definizione delle tempistiche del procedimento stesso di verifica. Si afferma che vi è un diritto “inviolabile” alla prestazione sanitaria dell’aiuto al suicidio da parte della struttura sanitaria pubblica: tale diritto però non è riconosciuto da una legge statale. Il diritto a ottenere una prestazione sanitaria dovrebbe essere riconosciuto a livello nazionale, senza discriminazioni, come è avvenuto con la legge del 2017 sulle Dat e con la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza.

Invece quella proposta complicava e non risolveva, dice.

Non regolava né gli obblighi del medico né quelli della struttura sanitaria, disciplinando solo alcuni aspetti delle modalità esecutive di una prestazione non regolata ancora dalla legge dello Stato.

Viene richiamata a supporto la sentenza della Consulta del 2019.

Ma la Corte è intervenuta in un caso molto particolare: l’aiuto prestato da un terzo (non necessariamente un medico) a una persona che decide autonomamente e consapevolmente di morire a causa della insostenibilità della propria situazione clinica, secondo le condizioni già previste dalla legge del 2017 e ricordate dalla stessa proposta regionale. La sentenza ha dichiarato non punibile penalmente una particolare forma di aiuto al suicidio: non ha previsto invece nessun obbligo di prestare quell’aiuto in capo ai medici, che invece debbono agire secondo coscienza, pur non riconoscendo espressamente il diritto all’obiezione, che probabilmente va invece riconosciuto.

La stessa sentenza della Corte indica la necessità di una legge che regoli la materia del fine vita in modo uniforme sul territorio.

L’inerzia del Parlamento – che pure era arrivato nella precedente legislatura all’approvazione da parte di una delle due Camere di un disegno di legge sul tema – ha prima costretto la Consulta a intervenire con una pronuncia “inedita” su un tema delicato come il fine vita, e ora spinge e sollecita le Regioni a delle fughe in avanti che rischiano di differenziare il trattamento sul territorio e rendere ulteriormente complessa e confusa la situazione; stimolando interpretazioni difformi da parte dei giudici,

E ora si aggiunge la questione di legittimità costituzionale sollevata dal gip di Firenze.

In questo caso il pm – pur avendo in via principale chiesto l’archiviazione, ritenendo il comportamento di aiuto soltanto preparatorio – aveva prospettato in subordine una questione di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale. Quest’ultima è stata accolta dal gip, in quanto la fattispecie risulterebbe in contrasto con svariati articoli della Costituzione (2, 3, 13, 32 e 117) e anche della Cedu, nella parte in cui limita la non punibilità dell’aiuto alla sussistenza – accanto agli altri – del requisito di essere la persona «tenuta in vita da un trattamento di sostegno vitale». La casistica può certamente stimolare ulteriori interventi della Corte costituzionale – come già avvenuto in questa vicenda – sui quali non è mio compito intervenire per formulare previsioni o tanto meno valutazioni; ma dovrebbe sollecitare una volta di più l’intervento del Parlamento nella sua responsabilità per la previsione di una disciplina finalmente omogenea.

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