martedì 10 novembre 2020
Paolo Bonanni è ordinario di Igiene all’Università di Firenze: «È importante non dare false certezze e imparare dal passato. Negazionisti e lockdown? C’erano anche 100 anni fa»
Paolo Bonanni

Paolo Bonanni - .

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“Un po’ è colpa anche di voi giornalisti, che volete il virologo con la sfera di cristallo. In realtà sul futuro di questo virus sappiamo ben poco, per prevedere cosa avverrà è più utile buttare l’occhio al passato”. Capovolge la prospettiva, Paolo Bonanni, professore ordinario di Igiene all’università di Firenze, esperto proprio nelle dinamiche di diffusione dei virus che hanno incrociato i destini dell’umanità. Insomma, andare a vedere “com’è andata” le altre volte ci può (poteva) insegnare come agire in tempi di Covid, magari senza ripetere gli stessi errori.

Invece di cercare di indovinare, meglio quindi guardare le antiche pandemie?
Con tutte le dovute differenze, molte indicazioni il passato le dà. Sul Sar-CoV2 sappiamo ancora troppo poco, io resto sempre colpito quando vedo buttare lì certezze granitiche, tipo in che giorno raggiungeremo il picco: sono così tanti i fattori che non conosciamo, che ogni previsione può essere smentita clamorosamente, e purtroppo lo abbiamo visto. Ecco perché è importante non dare false certezze e imparare dal passato: lo dicevamo quasi tutti che ci sarebbe stata una seconda ondata, e chi tra i miei colleghi lo ha negato... ora fa una conversione a 180 gradi.


«Da epidemiologo rabbrividisco quando vedo gruppi di adulti che fumano davanti al bar
con la mascherina abbassata! Vorrei vedere la polizia dare multe»

La Spagnola di cento anni fa era l’ultima grande pandemia ad aver colpito l’Occidente. Ci sono analogie?
Intanto sono impressionanti le corrispondenze dei mesi: la prima ondata della Spagnola in Italia infuriò proprio in aprile e maggio, poi a ottobre/novembre si affacciò la seconda ondata, peggiore della prima. Da qualche parte arrivò anche una terza ondata più debole, ad esempio in Spagna. È molto istruttivo anche vedere che le strategie efficaci per difendersi dal contagio erano le stesse di oggi: se guardiamo le foto sui giornali dell’epoca medici e infermieri, ma anche la gente comune, indossavano la mascherina, tenevano il distanziamento e usavano disinfettanti in abbondanza, proprio le tre regole che tuttora, se le avessimo rispettate, ci avrebbero protetti perfettamente. Inoltre era proibito andare in giro e tantissime attività furono chiuse, il lockdown lo hanno inventato un secolo fa. Allora gli scienziati non avevano cognizione di cosa fosse un virus, quello influenzale sarebbe stato isolato solo dieci anni dopo, negli anni ’30, però avevano capito come si trasmetteva e quindi le modalità per rallentarlo o bloccarlo.

Anche nei movimenti di massa ci furono analogie con quanto accade oggi?
È interessante: pure un secolo fa c’erano negazionisti, terrorizzati e complottisti. Era appena finita la prima guerra mondiale e i complottisti dell’epoca sostenevano con forza che a diffondere il morbo erano stati i tedeschi, che con le loro navi avrebbero spruzzato lungo le coste degli Stati Uniti la malattia.

Sembrano proprio le bufale odierne delle “scie chimiche” e di altri complottismi…
È molto più rassicurante ritenere che la colpa sia di qualcuno che agisce per cattiveria piuttosto che pensare che la natura crea fenomeni imprevedibili e incontrollabili. Tutti i negazionisti – del Covid come della peste nel Manzoni – in realtà incarnano l’estremizzazione della paura: il terrore è tale che fa più comodo pensare che il fatto non esista, è un meccanismo ben noto agli psicologi. Ed è però anche segno della stanchezza delle persone di fronte a una seconda ondata: all’inizio va bene anche fare l’immane sacrificio del lockdown, ma poi il ripetersi della stessa situazione psicologicamente sconvolge, quando la cosa sembrava finita è ripartita.

Qual è il compito dei media in un momento in cui tanto dipende dai comportamenti della gente?
Fare un’informazione corretta e non sensazionalistica. Per mesi abbiamo sentito dare una conta quotidiana dei nuovi positivi, 1.000, 3.000, 10.000, con magico calo nei fine settimana e rialzo il lunedì: il dato dei positivi se è avulso dal numero dei tamponi fatto quel giorno non ci dice se l’epidemia si sta espandendo, crea solo semplificazioni controproducenti. Altro errore è volere a tutti i costi i virologi tuttologi. Io sono medico di sanità pubblica ed epidemiologo, non studio com’è fatto il virus ma come si diffonde e quali sono le misure per metterlo sotto controllo. Ho visto una gustosa vignetta con la raccolta di figurine dei “virologi” sull’album Panìni al posto dei calciatori, questo la dice lunga. Infine l’informazione non deve decontestualizzare, altrimenti travisa.Un esempio?Ha ragione il virologo Palù quando dice che su 100 contagiati il 95% sono positivi asintomatici o pauci sintomatici, però manca il passaggio più importante, cioè quel 5% che finisce in ospedale e in terapia intensiva: non ci preoccupano i positivi, ci preoccupa che più aumentano loro più aumenta la frazione di chi viene ricoverato, così la tenuta del sistema sanitario crolla e i decessi crescono. Se quel 5% viene minimizzato, il risultato è quello che vediamo ovunque: gruppi di adulti che fumano davanti al bar con la mascherina abbassata! Da epidemiologo mi fa rabbrividire, vorrei vedere la polizia dare multe: ma come, mandiamo sul lastrico ristoratori o negozianti corretti che hanno applicato i protocolli e non hanno trasmesso il contagio, e poi manca la repressione dei veri diffusori? Pensando a quali sono le modalità di trasmissione del coronavirus, è chiaro che chi non ha seguito alla lettera le tre regolette sufficienti a fermarlo è stato la causa di questa ricaduta.

Le vogliamo ripetere, allora?
Mani costantemente disinfettate, distanziamento, e mascherina sul naso: è così difficile capire che respiriamo col naso, e quindi è dal naso che il virus entra ed esce?

Una famiglia alle prese con l'epidemia di Spagnola del 1918

Una famiglia alle prese con l'epidemia di Spagnola del 1918 - Wikimedia commons

La Spagnola scomparve improvvisamente da sola, possiamo sperarlo per il Covid?

Il Covid per ora ha fatto poco più di un milione di morti nel mondo, la Spagnola ne fece 40/50 milioni e proprio a causa di tanta mortalità si è esaurita: non possiamo permettercelo. I virus sono talmente imprevedibili che c’è sempre la possibilità che il Covid scompaia per cause naturali, ma la speranza più concreta è che arrivi un vaccino capace di dare un’immunità abbastanza lunga nel tempo. Però ci vorranno molti mesi… sempre che tutto vada bene.

Il virus della Spagnola era diverso dal Sars-CoV2?
Completamente, non era un coronavirus ma un virus influenzale, come tutte le pandemie del ‘900. Anche per questo il Covid ci ha presi alla sprovvista, perché noi pensavamo che le pandemie fossero tutte da influenza. Il Sars-CoV2 invece è un cugino della Sars del 2003, meno cattivo ma si adatta molto meglio alla specie umana e questo lo rende più pericoloso. La Sars quelli che colpiva li uccideva nel 10% dei casi però si trasmetteva difficilmente, così infettò 10mila persone in tutto; il Covid ha già infettato almeno 50 milioni di persone: è vero che ha una letalità bassa, ma una percentuale piccola su un numero grande fa un numero di morti enorme. Va detto poi che la Sars incontrò sulla sua strada l’infettivologo eroe Carlo Urbani che, pur di impedire a quel coronavirus di diffondersi nel pianeta, ha dato la vita e lo ha davvero fermato: con quel 10% di mortalità, prima di auto esaurirsi la Sars avrebbe fatto strage.

Il tracciamento di tutti i contatti fatto immediatamente da Urbani a partire dal “caso zero” è un’altra lezione che questa volta il mondo ha dimenticato?
Ci vorrebbe sempre un’attenzione preventiva a questo tipo di fenomeni, ma purtroppo anche il nostro Paese per venti anni ha smantellato la sanità territoriale, il vero presidio che ci permette di controllare la situazione. Occorre avere in campo professionisti in numero sufficiente – sto parlando di dipartimenti di prevenzione e medici di medicina generale – che possano fare i tracciamenti, mettere le persone in isolamento e verificare tutto quello che succede, se no la gente si riversa sull’ospedale: non a caso la Lombardia che li ha depotenziati più degli altri si è trovata con un guaio grosso. Guardiamo invece cosa succede in Estremo Oriente: lì il sistema di controllo è capillare e infatti ne sono usciti.

A gennaio abbiamo anche fatto orecchie da mercante a un passato molto recente, quell’epidemia che in Cina faceva già enormi danni.
Sarebbe bastato guardare cosa avveniva lì per capire che sarebbe accaduto anche qui. Invece ci siamo illusi, basti dire che all’inizio era dato come criterio di fare i test solo a chi fosse andato in Cina, così il virus è arrivato sotto traccia e quando è esploso a Codogno ormai era tardi. La stessa Oms diceva che non c’era alcuna emergenza, insomma, si era tutti presi da una sorta di pregiudizio ottimistico perché è difficile aprire gli occhi su una realtà che non si vuole guardare. Questa crisi ci ha fatto capire che anche l’Occidente supertecnologico e superscientifico soggiace a cose che ci sfuggono totalmente ed è in balìa della natura… La storia ce l’aveva insegnato, ma appena una bufera è passata si fa presto a dimenticare. Psicologicamente è normale, negli Stati Uniti degli anni ’20, finita la terribile Spagnola, c’era un’euforia incredibile e si fecero festeggiamenti lunghissimi, come dopo ogni guerra. Sicuramente succederà anche a noi quando potremo tornare a socializzare e a rivedere le persone!

Noi siamo la società della pillola per avere tutto e subito: successo, memoria, efficienza, salute. La pandemia ci costringe invece a lunghe rinunce, persino a sacrifici utili agli altri. Anche per questo ci mette in crisi?
Siamo un po’ diseducati a un comportamento che sia socialmente utile, siamo molto individualisti, dire che tu per tutelare gli altri devi sottometterti a determinati comportamenti è politicamente scorretto. D’altra parte l’educazione civica è stata espulsa da scuola, e per paradosso ci si disinteressa del prossimo al punto da arrecare danno anche a se stessi, il discorso delle mascherine abbassate o degli assembramenti serali è emblematico. La conseguenza? Tutti costretti a nuove chiusure per il comportamento di pochi.

Se è così facile che un virus dall’altra parte del mondo in poche ore diventi pandemia, come mai per un secolo non è capitato? Cos’ha più degli altri questo Sar-CoV2?
Continuamente dagli animali vengono fuori dei virus nuovi ricombinanti tra diversi ceppi, ma questo ha trovato una combinazione che si trasmette benissimo tra gli esseri umani. Di solito quando fa il salto dall’animale alla specie umana un virus è deficitario, ha problemi di trasmissione, il Covid invece è la tempesta perfetta. Magari succede una volta su dieci miliardi, ma che potesse accadere si sapeva, i biologi evoluzionisti ci dicono che è nell’ordine delle cose, purtroppo è capitato a noi.

Professore, come qualificarla in questa intervista? Epidemiologo?
Medico di sanità pubblica, ci tengo: perché noi siamo coloro che studiano come si diffondono le malattie per prevenirle, è questo l’obiettivo concreto della sanità pubblica. Come si dovrebbe fare con i terremoti: questo Paese non fa prevenzione antisismica, così spende molto di più – sia in vite umane che in denaro – per riparare ai danni dopo che sono avvenuti. In fondo è sempre la stessa storia.

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