Il premier uscente Giuseppe Conte
Inizia stasera la terza fase della crisi, quella della formazione del governo e della costruzione di un programma. Quasi sicuramente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella conferirà l'incarico al premier uscente Giuseppe Conte, che accetterà con riserva. Se il passaggio non avverrà stasera, avverrà al massimo domani mattina. Il capo dello Stato ripeterà che sui tempi non si può giocare, che va tenuta aperta una finestra per il voto anticipato il 10 novembre per dare modo a un nuovo governo di imbastire una manovra in fretta e furia prima che scatti l'Esercizio provvisorio.
Tuttavia Conte non potrà assicurare al capo dello Stato risposte in tempi brevissimi. Si ipotizza una fase che oscilla tra i 7 giorni (la migliore delle ipotesi) e i 10 giorni (la deadline oltre la quale non si può andare), perché l'incaricato premier avrà diversi nodi non risolti nelle trattative sinora svoltesi tra M5s e Pd. L'incarico "lungo" è legato anche al nuovo profilo che Conte vuole assumere nel governo giallorosso: non più il "notaio" di un contratto, non più il garante tra due vicepremier alleati e avversari che hanno bisogno di spazi e visibilità, ma un presidente del Consiglio espresso da una delle due parti (M5s) e accettata dall'altra (il Pd), che quindi dovrà trovare e suscitare le sintesi assumendosene le responsabilità in prima persona. Conte ha compreso questo passaggio politico che riguarda la sua persona e l'intero Movimento e le investiture internazionali lo hanno motivato. Sin da lunedì, quando è tornato dal G7 in Francia, ha fatto sapere a Zingaretti e Di Maio che non voleva «piatti già pronti» perché in questo governo, più che in quello che si è appena concluso, davvero lui ci mette la faccia nel bene e nel male. Ma sul conto del tempo necessario a sciogliere la riserva incide anche la decisione di M5s di sottoporre l'accordo con il Pd al voto degli iscritti sulla piattaforma "Rousseau": decisione che potrebbe rientrare o essere via via alleggerita, trasformando la consultazione in un referendum sul programma e non sull'alleanza con il Pd.
Ricevuto l'incarico, quindi, Conte si metterà al lavoro su tre nodi essenziali.
Il primo, la squadra. Toccherà a lui negoziare tra Zingaretti e Di Maio sullo "schema" da seguire: il Pd vuole un solo vicepremier di estrazione dem, considerando Conte un pentastellato e avendo su di lui rimosso un veto politico pesante. Di Maio insiste su un ruolo da vicepremier per lui o comunque per il Movimento. Sinora su questo punto Conte ha mantenuto il riserbo. Iniziando a gestire la trattativa in prima persona, potrà testare quanto sia radicato il veto del Pd su Di Maio e quanto M5s sia pronto davvero a "immolarsi" per il suo capo politico. Gli schemi alternativi al doppio vicepremier sono due, è questione di volontà politica: un vicepremier dem (Franceschini o Orlando) e un sottosegretario M5s (ad esempio Fraccaro); nessun vicepremier e due sottosegretari forti. Superato questo scoglio la squadra dovrebbe venire di conseguenza, eccetto che su due pedine tradizionalmente considerate "quirinalizie", su cui, cioè, il Colle fa valere con maggiore decisione la propria opinione: Economia ed Esteri.
Il secondo nodo è l'impostazione della manovra. Dalla nascita del governo alla presentazione della Nota di aggiornamento al Def passeranno pochissime settimane. Conte in questi giorni non avrà una linea diretta solo con Zingaretti e Di Maio, ma anche con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyer e i diplomatici italiani a Bruxelles. Ha bisogno di capire con largo anticipo i margini della manovra per il 2020. Certamente Zingaretti può essere un alleato perché la delegazione italiana nel Pse è forte e ha espresso il presidente dell'Europarlamento, David Sassoli. M5s invece ha bisogno di fare questo governo giallorosso per iniziare a contare in Europa: staccandosi dalla Lega, infatti, al Movimento si aprirebbero le porte di un gruppo "europeista" come i Verdi o i Liberali, che sinora hanno considerato l'alleanza con Salvini come un ostacolo insormontabile.
Il terzo nodo è il programma. La prima fase della crisi è quella segnata dalla rottura del governo da parte di Salvini, con conseguente drammatico confronto al Senato il 20 agosto. La seconda fase è stata quella dell'avvio del negoziato M5s-Pd, che ha immediatamente mostrato un limite: nei confronti programmatici sembrano mancare respiro, orizzonte, idee forti. E, lo si può dire, manca anche entusiasmo. Senza un programma forte, "di legislatura", l'esecutivo nascente si condannerebbe a sopravvivere rischiando di avvantaggiare e non contrastare l'avanzata delle destre. L'intenzione del premier uscente è quello di mettere mano direttamente ai punti-chiave della nuova azione di governo, soprattutto sul fronte degli investimenti pubblici per una economia più sostenibile.