Una bambina profuga estratta da un vagone carico d'argilla in cui si era nascosta in Bosnia - Border Violence Monitor
Non fuggono dal Covid, ma dai campi di prigionia e dalle misure repressive messe in campo con il pretesto della tutela della salute pubblica. Fuggono anche dall’asse di Visegrad, condannato ieri in via definitiva dalla Corte di giustizia dell’Ue, che ha giudicato non conforme ai trattati i “muri” di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, sordi ai richiami della redistribuzione dei migranti. La rotta balcanica non è mai stata facile per i senza patria che l’attraversano. La riprova è arrivata dalla Corte del Lussemburgo, chiamata a decidere sulle scelte dei tre Paesi membri giudicati colpevoli di non aver accettato profughi da Italia e soprattutto Grecia, come stabilito dal programma avviato nel 2015. «Rifiutando di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale» il gruppo di Visegrad è venuto meno «agli obblighi incombenti in forza del diritto dell’Unione», hanno scritto i giudici.
«La Corte è stata cristallina quanto alla responsabilità degli Stati membri. Adesso – ha annunciato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – ci stiamo attivando per redigere il patto sulle migrazioni che presenteremo dopo Pasqua».
Non sarà facile fare dei passi avanti. I progetti dell’Ue dovranno fare i conti anche con i “pieni poteri” del magiaro Viktor Orbán e dei suoi emuli nei dintorni. Il timore per il coronavirus è giustificato, specie in Paesi che non godono di un efficiente servizio sanitario. Ma le risposte vengono contestate dalle organizzazioni umanitarie internazionali, preoccupate dalla diffusa spinta all’autoritarismo.
A Sarajevo la polizia da giorni sta confinando i migranti in un centro di detenzione alla periferia della capitale. Vengono bloccati lungo le strade e trasportati a forza. La prossima settimana analoghi rastrellamenti verranno condotti nell’area di Bihac, al confine con la Croazia. «Costringere persone, molte delle quali già vulnerabili, a stare in una tendopoli allestita in tutta fretta in una zona remota, senza assicurare forniture adeguate di acqua né di servizi igienico–sanitari e senza garantire spazi per l’auto–isolamento o l’accesso a cure mediche è una decisione inumana che faciliterà il rischio di infezioni e di decessi evitabili», ha dichiarato Massimo Moratti, vicedirettore delle ricerche sull’Europa di Amnesty International. Circa 4.100 persone si trovano nei centri temporanei di accoglienza gestiti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), altri 3.000 vivono nascosti in tuguri e case abbandonate, per strada o nei boschi.
C’è chi per sottrarsi alle retate ha rischiato di morire sepolto sotto un cumulo terriccio. Come la bambina di 5 anni che si era nascosta nell’ammasso di fango di un vagone ferroviario carico di argilla rintracciato ad Harmica, in Croazia. Gli agenti bosniaci l’hanno estratta ancora viva poco prima che il convoglio si mettesse in marcia, salvando anche i genitori e due fratelli. Neanche il tempo di dargli da bere e sono stati respinti in Serbia.
La Romania resta il Paese dei Balcani con il maggior numero di contagi. Gli ultimi riportano 2.460 casi, 252 guariti e 86 i decessi dichiarati. In Slovenia i casi noti sono 841 e almeno un centinaio di essi sono medici e infermieri. In Macedonia del Nord si contano 354 contagi, con 11 decessi, e in Kosovo i casi sono 112, altri 120 in Montenegro.
Gli abusi delle autorità sono aggravati anche dalla lotta contro il tempo per fermare il contagio. I legali di “Border violence monitor” stanno documentando con testimonianze e prove fotografiche quale trattamento subiscono i profughi. La fine dell’inverno, infatti, ha riaperto i percorsi lungo i sentieri più impervi, prima coperti di neve. Lividi su tutto il corpo, scorticature, ustioni da Taser, la pistola per le scariche elettriche in dotazione agli agenti in Grecia e Macedonia. Proprio in territorio ellenico il campo di raccolta a Ritsona, nel nord del Paese, è stato posto in quarantena per 14 giorni dopo che sono stati confermati casi di positività al Coronavirus. Nel reticolato si trovano 3mila persone, in gran parte intenzionate a proseguire la traversata verso la Macedonia del Nord o l’Albania. Ma Atene deve vedersela soprattutto con gli oltre 40mila profughi ammassati sulle isole, con la preoccupazione che un focolaio di Covid–19, dato oramai per imminente, sarebbe una catastrofe.