La squadra Tam Tam nella foto del profilo Facebook
È un Tam Tam di nome e di fatto quello partito da Castel Volturno. Dove da settimane va in onda una storia che è lo specchio delle difficoltà con cui l’Italia sa costruire una vera integrazione. Una storia che parla di Africa e di pallacanestro, di volontà d’inserirsi e di assurdità della burocrazia. E che racconta la delusione di chi vorrebbe ma non può: «È come darci una ferita al cuore – racconta in un italiano più che corretto Joseph (nome di fantasia) –. Io quando gioco sono felice. Ma non possiamo fare una squadra, e questo mi fa arrabbiare. Dicono che non si può perché siamo stranieri. Ma io sono nato in Italia».
Hanno tutti dai 10 ai 16 anni e sono nati nelle terre del litorale domizio da immigrati africani che qui, spesso sfruttati, si sono però stabilizzati. Hanno imparato ad amare la palla a spicchi, quella che sul parquet fa appunto 'tam tam' (da qui il nome della società sportiva e del progetto), ma non possono giocare nei campionati giovanili perché, in base alle norme di Coni e Fip (la federazione pallacanestro), risultano stranieri e il regolamento dispone che ogni team non ne possa avere più di due.
A dar voce allo sconforto di questi ragazzi, per evitare che si sentano, ancora di più, stranieri nel Paese in cui sono nati, è un campione d’Italia, il loro coach Massimo Antonelli (uno scudetto con la Virtus Bologna nel 1976, ha giocato anche a Mestre e Napo-li), 64 anni, che ha promosso il manifesto-appello 'Io sto con Tam Tam Basket' per chiedere un’apposita deroga agli organismi sportivi. «Il mio è un progetto di inclusione sociale – ha raccontato Antonelli – attraverso lo sport, che è prima di tutto un gioco, ma che si basa sull’importanza del sacrificio e del lavoro per raggiungere gli obiettivi e comporta l’accettazione di regole precise. Il nostro gruppo? Conta al momento una quarantina di ragazzi, tra maschi e femmine».
La pagina facebook è Tam Tam Basketball
Per le spese ci si appoggia alla raccolta fondi: dopo aver sistemato il fondo della palestra, ora è stato lanciato un crowfunding per il pullman.
A rilanciare l’appello di coach Antonelli è, nel campo politico, Michele Anzaldi, deputato del Pd attento ai temi sociali. «Sul documento – afferma – è in corso una raccolta di firme. È significativo che questa storia accada sul litorale casertano, dove la massiccia presenza di immigrati, oltre 10mila, ha spinto il governo Gentiloni a inviare qualche settimana fa un commissario straordinario per l’integrazione sociale. E tutto ciò sta accadendo in Italia – osserva ancora Anzaldi –. La stessa nazione che allo Stadio dei Marmi nel 2013, in occasione del Mennea Day, con il Coni celebrò Tommie Smith (l’olimpionico dei 200 metri di Mexico 1968 che alzò il pugno sul podio in segno di protesta per i diritti umani calpestati negli Usa, ndr) con un discorso del presidente Malagò».
Il Coni sta tentando di trovare una soluzione, ma per ora Malagò, interpellato da Radio Capital, si è limitato a dire che «lo ius soli è una legge che va approvata, siamo l’unico Paese al mondo che non può far giocare in nazionale ragazzi così». Un impegno che non basta ad Anzaldi: «So bene che i regolamenti rispondono all’importante autonomia delle federazioni, va escogitata però una deroga di tipo eccezionale. Non si può non tener conto delle caratteristiche particolari di quel territorio, che si può equiparare in effetti a una 'zona di guerra'. Questi sono ragazzi che non vanno a delinquere e che faticano in palestra per integrarsi, impegnandosi con il rigore che può dare loro solo una disciplina sportiva. La risposta dello Stato non può essere la chiusura».