Esiste un punto di vista differente per una prima analisi della riforma delle BCC come esce da Montecitorio? Approvato mercoledì sera dalla Camera dei Deputati, il decreto legge 18/2016 può essere letto con un’ottica che fa riferimento alle radici culturali della maggior parte delle 360 cooperative bancarie mutualistiche. Si tratta di banche nate in larghissima parte da un’enciclica sociale (la
Rerum novarum, 1891) e ispirate – anche nel loro statuto- tipo ancora oggi vigente – dal magistero sociale cristiano. La normativa che regola l’attività delle BCC italiane, doveva essere profondamente modificata il 20 gennaio 2015 con un decreto che prevedeva una riforma sia per le banche popolari (annunciata da anni) sia per le BCC (non prevista). La prima, quel 20 gennaio è passata. La seconda, si è riusciti – argomentando – a sospenderla. Si è voluto 'caratterizzare' il processo e il contenuto della riforma. Una riforma necessaria, perché il quadro normativo dell’Unione Bancaria rende pressoché impossibile fare banca di prossimità e mutualistica in solitudine, in assetto 'atomistico'. E perché l’organizzazione e i processi interni al sistema BCC, la terza realtà italiana per dimensione, andava adeguata. Ma quel percorso di riforma non poteva fare a meno del coinvolgimento, del dialogo, del confronto con i destinatari della riforma stessa. La prima sfida è partita da qui: dal metodo. Dibattito interno, proposte concrete, verifica della conformità con le sempre più omologanti norme dell’Unione Bancaria e dei principi contabili internazionali, confronto serrato a livello politico e a livello tecnico, in contradditorio costruttivo con la Banca d’Italia e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. In meno di cinque mesi, il Consiglio Nazionale di Federcasse (democraticamente eletto dalle BCC aderenti) ha approvato lo schema di riforma. Sempre all’insegna del metodo (partecipazione) e del costante richiamo ad una chiara piattaforma valoriale di riferimento che potremmo sintetizzare in alcuni precisi caposaldi: la libertà d’impresa fondata sulle capacità e sulla responsabilità; l’autoaiuto; la mutualità; la sussidiarietà; la partecipazione e il protagonismo delle comunità e dei territori; il controllo democratico da parte dei soci; l’unità nella custodia orgogliosa e competente di una indispensabile biodiversità. I Dieci punti qualificanti della proposta di Autoriforma elaborata da Federcasse (sono riportati sul sito
www.creditocooperativo.it) si sono ispirati a quei caposaldi, tipici dell’insegnamento sociale. Quella proposta di riforma è stata validata sotto un profilo tecnico-prudenziale dall’Autorità di vigilanza nazionale e risulta conforme rispetto ad almeno tre filoni normativi: il regolamento europeo sui requisiti di capitale CRR; l’insieme delle norme italiane che fanno capo al codice civile, alla legge sulla cooperazione, al testo unico bancario; i princìpi contabili internazionali. L’impianto essenziale era stato accolto già nel decreto legge emanato dal governo il 10 febbraio scorso. Il decreto è stato poi arricchito e reso più equilibrato dal dibattito parlamentare in collaborazione con lo stesso Esecutivo. Oggi si può dire che quei punti dell’Autoriforma sono stati tutti sostanzialmente accolti. Ne è nato un modello giuridico che si ispira ad un approccio culturale ben preciso, sintetizzato in quei caposaldi sopra richiamati, che vedrà la nascita di una realtà nuova sotto molto profili: un Gruppo Bancario Cooperativo guidato da una capogruppo (una banca che avrà forma di spa) al servizio delle proprie azioniste, le banche cooperative a mutualità prevalente. Una forma innovativa di gruppo bancario che regolerà le relazioni con le singole BCC sulla base di «un contratto di coesione». Ogni BCC resterà una cooperativa a mutualità prevalente (erogherà pertanto il credito prevalentemente ai soci), con una propria licenza bancaria, un proprio consiglio di amministrazione eletto dall’assemblea dei soci. Il 70% almeno degli utili dovrà andare a riserva indivisibile. Il 95% del totale dei crediti andrà erogato a famiglie e imprese del territorio di operatività. Il risparmio delle comunità viene reinvestito nelle comunità. Ciascuna BCC sarà legata al Gruppo tramite un sistema di 'garanzie incrociate' (forma di solidarietà che si abbina ai concetti di responsabilità e di condivisione) e conserverà la propria autonomia graduata sulla base della propria 'meritevolezza' (meno risulterà rischiosa – secondo parametri oggettivamente misurabili – maggiori saranno gli spazi di autonomia nella pianificazione e nella gestione della specifica missione nel territorio, il cosiddetto
risk based approach). Insomma una forma di coesione integrata, del tutto originale nel mondo imprenditoriale italiano e probabilmente anche in quello europeo. Nei quattordici mesi di questo cammino di riforma, papa Bergoglio ha trasmesso alle BCC la sua inimitabile energia in due occasioni. Il 28 febbraio e il 12 settembre dell’anno scorso Francesco ha incontrato in udienza, rispettivamente, i cooperatori di Confcooperative (quindi anche quelli del settore bancario, ovvero delle BCC) e i cooperatori e le famiglie della BCC di Roma. Nella prima occasione ha regalato quella straordinaria pagina di 'aritmetica cooperativa': nelle imprese cooperative, disse, 'uno più uno fa tre'. Nel secondo incontro ha consegnato sette raccomandazioni a chi fa cooperazione nel credito.
Primo, continuare ad essere un motore che sviluppa la parte più debole delle comunità locali e della società civile, pensando soprattutto ai giovani senza lavoro e puntando alla nascita di nuove imprese cooperative.
Secondo, essere protagonisti nel proporre e realizzare nuove soluzioni di welfare, a partire dal campo della sanità.
Terzo, preoccuparsi del rapporto tra l’economia e la giustizia sociale, mantenendo al centro la dignità e il valore delle persone. Al centro sempre la persona, non il Dio denaro.
Quarto, facilitare e incoraggiare la vita delle famiglie e proporre soluzioni cooperative e mutualistiche per la gestione dei beni comuni, che non possono diventare proprietà di pochi né oggetto di speculazione.
Quinto, promuovere un uso solidale e sociale del denaro, nello stile della vera cooperativa, dove non comanda il capitale sugli uomini, ma gli uomini sul capitale.
Sesto, come frutto di tutto questo, far crescere l’economia dell’onestà. Settimo, partecipare attivamente alla globalizzazione, perché sia globalizzazione della solidarietà. Una buona cornice normativa, stimolata anche da queste chiare indicazioni di marcia, è ora a disposizione. Il passaggio al Senato potrebbe ulteriormente migliorarla. Poi arriveranno la normativa secondaria del Mef e della Banca d’Italia. La responsabilità di interpretarla nel modo più coerente ed efficace è ancora nelle mani dei cooperatori. Guidati ancora dal messaggio di Papa Francesco: «Una banca cooperativa deve avere qualcosa in più: cercare di umanizzare l’economia, unire l’efficienza con la solidarietà».
* Direttore Generale Federcasse