Nella foto alcuni esponenti del clan di Zawyah, tra cui (al centro) il maggiore della Guardia costiera libica al-Mmilad, detto Bija, accusati di vari traffici illeciti
Per la prima volta le Nazioni Unite confermano la diretta connessione in Libia fra il traffico di esseri umani e quello per la droga, il petrolio e le armi. A convalidare l’esistenza del “Libyagate” è il segretario generale Antonio Guterres, che ha consegnato poche ore fa al Consiglio di sicurezza un nuovo report.
A partire da maggio, il governo di unità nazionale ha lanciato diverse operazioni che avevano come obiettivo “il traffico illecito di droga, armi, carburante e migranti nelle città lungo la strada costiera occidentale, soprattutto a Zawiyah - spiega Guterres - e nelle aree circostanti, con il rischio di un'escalation”. A Zawiyah continua a spadroneggiare la milizia al Nasr, i cui leader sono tutti sottoposti a sanzioni internazionali. Tra essi alcuni sarebbero indagati anche in Italia per reati connessi al traffico di esseri umani e violazioni dei diritti umani, come aveva spiegato nei giorni scorsi ad Avvenire il procuratore di Agrigento, Salvatore Vella.
L’operazione ordinata da Tripoli, tuttavia, non sarebbe stata messa a segno per ripristinare la legalità. Alcuni esponenti hanno descritto i raid come “politicamente motivati, sostenendo - precisa il segretario generale - che hanno preso di mira solo gruppi non allineati con il primo ministro Abdulhamid Dbeibah”. In altre parole, un nuovo capitolo della faida interna al sistema di potere, nel quale guardie e ladri sono spesso due facce della stessa medaglia.
Nelle 17 pagine di dossier consegnato a New York, Guterres ribadisce la “grave preoccupazione per il traffico di migranti e rifugiati e per la tratta di esseri umani attraverso la Libia e per la situazione in cui versano i migranti e i rifugiati, tra cui la detenzione arbitraria, i maltrattamenti e l'esposizione alla violenza sessuale e di genere”.
Le operazioni della cosiddetta guardia costiera libica sono parte del sistema. Se da una parte “i migranti e i rifugiati sbarcati nei porti libici a cui hanno accesso le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite hanno ricevuto aiuti di emergenza di base”, dall’altro “la maggior parte dei migranti - ribadisce il dossier - sono stati successivamente trasferiti in centri di detenzione ai quali le Nazioni Unite hanno accesso limitato”. Quel poco che si riesce a sapere non consente di avere dubbi, perciò è chiesto “di compiere passi verso la chiusura dei centri di detenzione per migranti e alleviare con urgenza le sofferenze”, permettendo “un accesso umanitario pieno, sicuro e senza ostacoli”. Parole che suonano come un ennesimo rimprovero alle autorità libiche, che spalleggiate dai Paesi Europei continuano a farsi beffe degli operatori umanitari trattati come testimoni scomodi.
Da nascondere c’è il trattamento riservato ai bambini. Nessuna pietà neanche per i più piccoli. “Le Nazioni Unite - denuncia Guterres - hanno continuato a osservare la detenzione prolungata di bambini migranti senza alcun processo giudiziario, in violazione degli obblighi del Paese in materia di diritti umani. I bambini migranti detenuti sono stati rilasciati solo se avevano soluzioni durature garantite, ovvero il ritorno umanitario volontario facilitato dall'Oim, il loro reinsediamento o l'evacuazione in un Paese terzo, facilitato dall'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani”. In tutti gli altri casi, anche i più piccoli restano nei campi di prigionia, esposti anche al rischio di abusi sessuali. “L’Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha verificato 24 casi di rapimento di bambini originari del Sudan, dove erano stati registrati come richiedenti asilo e successivamente trafficati verso la Libia”, rivela Guterres. A quel punto i funzionari Onu hanno cercato di monitorare il flusso, scoprendo “che questi bambini sono stati sottoposti a ulteriori violazioni dei diritti umani in Libia, compreso il lavoro forzato nei campi militari senza retribuzione”. Piccoli schiavi delle milizie, sotto gli occhi delle istituzioni centrali e dei loro alleati in Europa. Silenti anche davanti agli abusi della legge contro le donne: “Alla fine di aprile l'Agenzia per la sicurezza interna - lamenta il rapporto del segretario Onu - ha introdotto una procedura restrittiva discriminatoria per motivi di genere, in base alla quale le donne libiche che viaggiano da sole e partono dagli aeroporti della regione occidentale sono tenute a fornire informazioni sulle ragioni per cui si recano all'estero senza un accompagnatore maschile”.