Sfollata interna. Vive in un campo nel mezzo di un deserto di sabbia e pietra senza nessuna assistenza da parte del governo afghano. Nel campo non ci sono le scuole, i bagni, l’ospedale e non c’è lavoro. Gli sfollati mangiano solo pane. Beneficiaria di un progetto di sviluppo rurale dell’ex GVC (Gruppo di Volontariato Civile), ora WeWorld-GVC. Distretto di Pashtun Zargun, Provincia di Herat, Afghanistan - Laura Salvinelli
Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all'8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE
Pubblichiamo una riflessione della scrittrice e giornalista Marina Terragni, femminista e autrice di numerosi saggi sulle donne. Per il suo contributo alla campagna #avvenireperdonneafghane, Terragni si è ispirata al ritratto di una sfollata della provincia di Herat, della fotografa romana Laura Salvinelli. La giovane vive in un campo nel mezzo di un deserto di sabbia e pietra senza nessuna assistenza da parte del governo afghano. Nel campo non ci sono le scuole, i bagni, l’ospedale e non c’è lavoro. Gli sfollati mangiano solo pane.
La ragazza sembra una piccola regina che forse venderebbe il suo regno per una scuola. Ricordo bene cos’è stata la scuola, la maestra con il grembiule chiazzato di gesso che mi ha aiutato a capire chi avrei voluto essere. Nel campo dove la ragazza vive, sfollata in mezzo un deserto di sabbia e pietra, non ci sono bagni, ospedali e nemmeno scuole. Come tante altre crescerà semianalfabeta, così è stato deciso da una leva di maschi paurosi e violenti.
Guidando arriverei lì in 3 giorni, qualche ora in aereo: ma in macchina preferirei, avrei tutto il tempo per rimuginare la lezione che vorrei farle. La più bella lezione – questo vorrei – che ho mai fatto. Per prima cosa dovrei chiederle perdono perché qui, vicini come siamo, abbiamo dimenticato lei e le sue sorelle: non meno dimenticabili e dimenticate, altre catastrofi si sono messe in primo piano. Ci si abitua a tutto, anche a violenze come queste, a quella ributtante paura maschile che lì si mostra al suo grado più elevato, paura di non riuscire a controllare la sapienza e la forza di chi – le donne – ogni giorno rimette al mondo al mondo, in qualunque luogo del mondo. Poi le parlerei di una ragazza poco più grande di lei che una lezione l’ha data a me, e definitiva. Un’altra maestra me l’ha fatta conoscere e io ora la presenterei alla mia allieva. In un campo (Westerbork) più triste e terribile di quello in cui lei sta vivendo, in un luogo in cui abbiamo visto in azione il male assoluto, questa ragazza ebrea di nome Etty ha saputo credere che «dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze», che si possa «fiorire e dare frutti in qualunque terreno si sia piantati». E poi ha chiesto a Dio di fare in modo di fare uscire da lei «un po’ di musica» promettendo che «se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio».
Poi certo: mi scuserei per non avere saputo dire e fare altro e di essermi dimostrata tanto imbelle. Io non so come si faccia a disfare certe malefatte umane, se servano armi e quali e se sarei capace di usarle, anche se la rabbia mi indurrebbe a provarci. Forse si potrebbe pensare di andare a prenderle, lei e le sue sorelle, rifugiate speciali da accogliere e istruire. Mi affido per questo alla buona volontà di altre e altri. Per certo so che vorrei lasciarle questa dote: la fiducia incrollabile nel fatto di poter essere lei a insegnare quello che sa – di sicuro sa tante cose –, a guardare il mondo e restituirlo secondo il suo talento perché un talento c’è sempre e ovunque, e c’è sempre qualche bellezza da scovare e qualche Dio da aiutare. Tocca a lei spargere la luce che la illumina, lasciare risuonare la sua musica, cantare e ballare e farsi come Etty «cuore pensante della baracca».
I libri prima o poi arriveranno, questo è certo. Magari un libro prima o poi lo scriverà.
Marina Terragni, giornalista e saggista