sabato 7 settembre 2019
“Avvenire” racconta il Paese degli invisibili: vite di migranti sospese, ai margini del sistema di accoglienza, bloccate dallo stop alla protezione umanitaria, in mano alle commissioni
Il pizzaiolo costretto a farsi "invisibile"
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Irregolare, nonostante il lavoro regolare. Potrebbe essere la sintesi della storia di T., la cui vita nel limbo, in realtà, è diventata quella di un fantasma. Nel marzo 2018 T. viene accolto da uno sprar di Farsi Prossimo, la cooperativa nata dalla Caritas di Milano: «Era – dice Daniel de la Traba, il coordinatore del centro – un neomaggiorenne arrivato da una comunità per minori. All’inizio si apriva poco, ma lo studio per ottenere la terza media è diventato l’occasione per consolidare la relazione ». In piena estate il primo colpo: la risposta negativa alla domanda di asilo. «T. non riesce a capire molto bene cosa significa. C’è fretta di incontrare un avvocato… Il diciottenne non è così tanto adulto come vuole dimostrare. Ma cresce, per forza deve crescere». E impara parole che nessuno gli ha insegnato: ricorso, tribunale, udienza, espulsione...

Dopo un mese frenetico viene depositato il ricorso e T. si rilassa. Inizia a raccontare di sé: ha perso tutta la famiglia, ha solo il padre, che è disabile e a malapena riesce a sopravvivere. Sono i motivi per cui se n’è andato dall’Africa occidentale. A febbraio il secondo colpo: il tribunale rigetta il ricorso. «Questa volta è ancora più complicato: la nuova legge ha eliminato la possibilità dell’appello e si va diretti in Cassazione. Altre parole da imparare e, soprattutto, una scelta da fare: impugnare o no». Non è una decisione scontata: «Le nuove norme hanno dato un giro di vite in più, chi va in Cassazione quasi sicuramente non avrà il gratuito patrocinio e dovrà pagarsi l’avvocato... Soprattutto, ora la sospensiva del rigetto non è più automatica: se gliela negano, T. diventa irregolare».

Anche da casa erano arrivate brutte notizie: il papà è peggiorato e non riesce più a portare avanti la piccola attività che gli permetteva di superare ogni giornata. T. deve crescere di nuovo in fretta, badare da lontano anche a suo padre. Si attiva subito e trova lavoro come pizzaiolo. Era questo il motivo per cui da mesi tornava tardi la sera... «Aveva bisogno di tutti i soldi possibili, ma non ce l’aveva detto perché temeva di perdere il pocket money, quei 45 euro che i rifugiati ricevono ogni mese durante l’accoglienza».

Dopo il mese di prova in pizzeria, T. firma un contratto regolare per tutto il 2019. E decide di andare in Cassazione. Il progetto va avanti: sempre più integrato, T. continua a crescere. Resta la spada di Damocle della sospensiva, ma i mesi passano e il pensiero si allontana. A metà giugno arriva il colpo finale: rigetto della sospensiva. Da un giorno all’altro T. diventa irregolare, nonostante il contratto di lavoro e nonostante un processo aperto in Cassazione, che paradossalmente non può seguire dall’Italia. Le leggi diventano onde insormontabili e più pericolose del mare: per colpa loro, oggi T. è irregolare, lavora in nero e vive nascosto nella città.

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