Non fa in tempo a digerire il panettone Pier Luigi Bersani. La tegola Mirafiori sta già producendo i suoi effetti nel partito diviso, ma è Nichi Vendola – ancora una volta – a rovinare definitivamente la festa. Se il leader del Pd aveva preso tempo per decidere la direzione di marcia del suo partito, in attesa del vertice del 13 gennaio, ebbene, il leader di Sel schiera le pedine sulla scacchiera e apre la sfida. Per il governatore pugliese la battaglia con Marchionne va condotta con «radicalità», perché si tratta di una battaglia «per la democrazia». E il segretario democratico, che avrebbe demandato in Parlamento il dibattito, si trova incalzato a dover rispondere. Per lui lo fanno subito i vertici di largo del Nazareno, e l’immagine che ne esce è quella di un partito spaccato, che si gioca il futuro sulle alleanze possibili tra i «conservatori» della sinistra radicale e i «riformisti» favorevoli all’accordo, come si autodefiniscono i moderati piddì. Vendola esamina l’accordo di Mirafiori e la posizione isolata della Fiom. «Non è solo una sfida arrogante contro il mondo del lavoro – dice – .È l’idea di un restringimento secco degli spazi di democrazia in questo Paese». Ma su Mirafiori il leader di Sel cerca di stanare Bersani, che solo qualche giorno fa gli aveva chiesto «generosità» per una alleanza costituente: «Il messaggio è: 'prima delle alleanze confrontiamoci su un programma'? Abbiamo una occasione straordinaria che è quella del caso Mirafiori ». Insomma, spiega, «un punto dirimente per costruire una visione e una coalizione con coloro che si sono opposti, per esempio, alla riforma Gelmini». Su questo, neanche a dirlo, Antonio Di Pietro è pienamente d’accordo.E qui iniziano le nuove grane bersaniane. Il tempo stringe – sebbene un attendista Chiamparino pensi ai 18 mesi necessari perché l’accordo Fiat entri in vigore – , e il segretario dovrà dare la sua risposta. Intanto sono in molti a schierarsi, in un partito diviso, sul quale incombe il Lingotto due di Veltroni, la miniscissione di Parisi e la decisione di Fioroni. La spaccatura è trasversale, perché tra gli ex ds filo-Cgil, molti si sfilano per seguire la linea Cisl-Uil. Così Piero Fassino confessa: «Se fossi lavoratore Fiat voterei sì al referendum». Ma resta la ricerca di un «clima più disteso», come quello del 2008 che, ricorda Cesare Damiano, favorì il documento unitario. E sono in molti a ragionare sull’inasprimento del confronto, che porta alle spaccature. L’accordo di Mirafiori è un «evento positivo», secondo il giusvalorista Pietro Ichino. La Fiom, però, deve «avere voce, non potere di veto», evitando che «si trasformi in un super Cobas fuori sistema». Piuttosto, in un regime di «pluralismo sindacale», diventi normale «che un sindacato firmi un accordo e un altro si rifiuti». Eppure sulla mancata firma, ormai, si combatte l’ultima battaglia nel centrosinistra. Se l’ex diesse Vincenzo Vita considera «riformista» la bocciatura dell’accordo e così anche il responsabile economia pd Fassina, per gli ex popolari, al contrario, il riformismo è proprio nella rottura degli schemi passati. La pensa così Beppe Fioroni, convinto che nella crisi ci vuole coraggio ». E la pensa così la lettiana Alessia Mosca, come il veltroniano Tonini, per il quale il «Pd è un partito di cambiamento». Parla invece come ex leader Cisl Franco Marini: «Da sindacalista io l’accordo per Mirafiori lo avrei sottoscritto».