giovedì 22 dicembre 2016
Lontani dagli occhi? Lontani dal cuore. Così per i senzatetto, ma soprattutto per i profughi. È questo il rischio che corrono gli impoveriti nelle città del Nord-Est.
Da Udine a Mestre, no del Nord Est ai quartieri-ghetto per poveri e migranti
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Lontani dagli occhi? Lontani dal cuore. Così per i senzatetto, ma soprattutto per i profughi. E, in generale, per chi è in situazione di forte indigenza. È questo il rischio che corrono gli impoveriti in tante città del Nord Est, ancora alle prese con una difficile uscita dal tunnel della crisi economica e sociale. Rischio che le Chiese locali cercano di gestire con circospezione, ma anche con profezia evangelica. Da Venezia a Trieste. Da Padova a Udine.

Da Verona a Pordenone. Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, di fronte al disagio provocato dalle grandi concentrazioni di poveri in centro a Mestre, stranieri o italiani che siano, ha proposto di allontanare in periferia questi servizi, pare vicino all’ospedale dell’Angelo, magari attivando una «Cittadella della povertà », con tutti i servizi necessari. È per lo stesso motivo che a Udine, città governata dal centrosinistra, a differenza di Venezia/ Mestre, i profughi affollano la caserma Cavarzerani e contro la mensa della diocesi, in centro città (più di 350 fra pranzi e cene ogni giorno), sta maturando il tentativo di trasferirla per le proteste dei residenti.

Analoghi tentativi, nel recente passato, ci sono stati a Padova dove, solo qualche giorno fa, sono stati gravemente danneggiati due alloggi destinati ai rifugiati dalla cooperativa che li aveva affittato. Rientra nella stessa logica il giro di vite contro gli accattoni a Pordenone e a Trieste, e nel passato a Verona.

Sono più di 500 le persone che vivono sulla strada, nella sola Mestre, e che mangiano nelle mense soprattutto della Caritas e di altre organizzazioni vicine alla Chiesa. In particolare, Ca’ Letizia, gestita dalla San Vincenzo, ha visto aumentare i pasti giornalieri da 130 a 150; la mensa dei Cappuccini distribuisce un altro centinaio di pasti, si aggiunge quella di Altobello dei padri Somaschi. Sono la cosiddetta punta dell’iceberg della povertà alle porte di Venezia. Ma, si badi, sono ben 1.800 le persone in difficoltà che vengono supportate nelle loro esigenze quotidiane, a cominciare dal tetto che non hanno, e dalla doccia.

Il sindaco Brugnaro, raggiunto quotidianamente dalle lamentele di residenti perché «gli assembramenti sono insostenibili», immagina una «Cittadella della carità» che offra tutti i servizi di cui il povero ha bisogno e che, pertanto, lo trattenga al suo interno. Ciò che a tante componenti della comunità non piace, perché in questo modo non si fanno nemmeno i tentativi di integrazione. Il patriarca, monsignor Francesco Moraglia, con la bonarietà sorridente che lo caratterizza, ha dato l’altolà al sindaco, ma, appunto, senza cedere a polemiche. «Credo che certe idee nascano da una volontà di bene nei confronti della città, ma sarebbe utile parlarne prima, tutti insieme» riconosce il patriarca. Il quale fa intendere di capire i disagi dei quartieri e che, pertanto, l’offerta solidale va, in alcuni casi, organizzata meglio. «Però – tiene a ribadire – i clochard, i poveri non li possiamo far sparire».

Neppure dentro un quartiere della solidarietà, perché verrebbero emarginati e non aiutati a reinserirsi nella società. «Rischiamo di fare l’esperienza francese per quanto riguarda gli immigrati» insiste Moraglia. E nel caso di Mestre ci sono mense che vengono frequentate, per il 50%, da italiani. La scommessa, invece, è l’accoglienza diffusa. Il patriarca si dice sorpreso dalla notizia appena letta di chi accompagna bambini sfollati e viene multato per schiamazzi. «Una cosa che mi ha fatto riflettere». A mancare è anche la cultura dell’ospitalità che tenga conto della complessità. I clochard, ad esempio, sono ognuno un mondo a sé, vogliono vivere all’aperto, e in molti casi non c’è verso di farli ospitare in una struttura. Detto questo, l’offerta può migliorare anche dal punto di vista della sicurezza. Nelle mense, ad esempio, ci sono i responsabili dell’ordine. L’importante, insomma, è concertare, tra le varie istituzioni, l’organizzazione delle risposte.

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