venerdì 21 dicembre 2018
Sottostimato il gettito atteso dagli enti. L’agevolazione al sociale durava dal 1954
Ad essere penalizzati sono anche soggetti 'commerciali'. Ma se la platea di realtà colpite è più ampia del previsto, perché non ridurre lo sconto anziché eliminarlo del tutto?

Ad essere penalizzati sono anche soggetti 'commerciali'. Ma se la platea di realtà colpite è più ampia del previsto, perché non ridurre lo sconto anziché eliminarlo del tutto?

COMMENTA E CONDIVIDI

Tra le misure introdotte in corso d’opera alla Legge di Bilancio si segnala l’incremento dell’imposta sul reddito – che dal prossimo anno balzerà dal 12% al 24% – per effetto dell’abrogazione dell’articolo 6 del D.P.R. 601 del 1973 che riconosceva a molti enti la riduzione dell’Ires al 50%.

Nell’informativa al Senato del Presidente del Consiglio dei Ministri nella quale si illustra il maxiemendamento la misura è stata definita come «l’abrogazione dell’aliquota ridotta Ires in favore degli enti non commerciali». In realtà la norma non riguarda 'tutti' gli enti non commerciali, ma soprattutto non riguarda 'solo' gli enti non commerciali. Ad essere penalizzati dall’eliminazione dell’agevolazione, oltre agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono moltissimi altri soggetti che non hanno necessariamente la qualifica di 'enti non commerciali': dagli enti ospedalieri agli istituti di istruzione, dagli istituti autonomi per le case popolari agli istituti di studio e sperimentazione di interesse generale senza fine di lucro, dagli enti di assistenza sociale alle società di mutuo soccorso.

A tutti questi soggetti vanno poi aggiunte tutte le ex istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza riordinate in aziende di servizi o privatizzate alle quali si estendeva la norma agevolativa (cfr. at. 4, c. 2, D.Lgs. 207/2001). Va segnalato che solo nell’estate dello scorso anno il legislatore è intervenuto sull’articolo che ora decide di sopprimere, aggiungendo un comma dal quale si ricavava la conferma che per gli enti oggetto dell’agevolazione che fossero restati fuori dalla nuova disciplina sul Terzo Settore permaneva comunque il diritto all’aliquota dimezzata (cfr. D.Lgs 117/2017, art. 89, c. 5). È interessante sottolineare che il trattamento agevolativo per questa tipologia di enti è presente nel nostro ordinamento dal 1954, quando la legge 603 istituì l’imposta sulle società prevedendo per essi addirittura l’esenzione (cfr. art. 3), confermandola nel 1958 quando fu approvato il testo unico delle imposte dirette con il D.P.R. 645 (cfr. art. 151) e trasformandola nel 1973 in riduzione al 50% con l’art. del D.P.R. 601, quello che ora viene abrogato.

A scorrere l’elenco degli enti prima esenti e poi agevolati con l’aliquota dimezzata si riconosce quello che oggi chiamiamo il mondo del non profit, del privato sociale, del Terzo Settore, quel mondo, insomma che si fa carico di larga parte del welfare, che si rivolge ai soggetti più bisognosi, che è presente nella ricerca scientifica di alto valore, che si occupa dell’istruzione e della cultura. Ci sia concessa ancora un’osservazione: dalla lettura della relazione tecnica che accompagna il maxiemendamento si desume che l’abrogazione dell’agevolazione comporterà un incremento di gettito, a regime, di 157,9 milioni di euro, che, per il primo anno di applicazione, il 2019, sarebbe di soli 118,4 milioni di euro. Il documento precisa che «Ai fini della stima degli effetti sul gettito sono state analizzate le dichiarazioni dei redditi 2017, anno di imposta 2016, per gli Enti non Commerciali, individuando la parte di reddito imponibile soggetta ad aliquota ridotta. Dalle elaborazioni l’imponibile agevolato è pari a circa 1,3 miliardi di euro. Applicando l’aliquota ordinaria (24%) in luogo di quella agevolata (12%) si avrebbe un recupero di gettito per circa 157,9 milioni di euro».

A quanto pare, quindi, i calcoli sono stati effettuati prendendo in considerazione i soli 'enti non commerciali', ma la platea dei soggetti che non potranno più usufruire del dimezzamento dell’aliquota è molto più ampia dal momento che vanno aggiunti anche quegli enti che, ancorché senza fine di lucro, rientrano nella categoria degli 'enti commerciali'. Sembrerebbe che i tecnici non abbiano conteggiato anche gli imponibili derivanti dalle loro dichiarazioni dei redditi, con il risultato che avrebbero calcolato il risparmio di imposta considerando un imponibile notevolmente inferiore di quanto non sarebbe quello effettivo. Allora forse, al di là della valutazione sulla scelta di 'risparmiare' penalizzando questa tipologia di soggetti, lo stesso risultato si potrebbe raggiungere con una riduzione dell’agevolazione invece che con la sua completa eliminazione.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: