venerdì 7 ottobre 2016
Parla il presidente della Lega Pro Gravina: GoldBet offriva 3 milioni, ma ho scelto l’Unicef.
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C’è chi ha detto no. Forse non molti lo sanno, ma anche nel variopinto pianeta del calcio nostrano, votato a guadagni stellari e allettato dalle sirene di Azzardopoli, qualcuno è già riuscito a dimostrare come un «no, grazie» non solo sia possibile, ma «doveroso». E che perfino in Italia, che non è esattamente il Paese delle meraviglie, si possa riuscire serenamente a rispedire al mittente la munifica offerta di un big delle scommesse sportive «per affidare la sponsorizzazione a chi di valori e aiuto all’infanzia ha fatto una bandiera, come l’Unicef».

Quel qualcuno è Gabriele Gravina, imprenditore d’origine pugliese da quasi un anno presidente della Lega italiana calcio professionistico, meglio nota come Lega Pro. Una scelta, fatte le debite proporzioni, di segno diametralmente opposto a quella effettuata dalla Nazionale azzurra, ma di cui Gravina va fiero: «C’è una ragione di forte responsabilità alla base della mia decisione. Ho voluto impostare la governance del periodo di presidenza sulla testimonianza di valori importanti, per provare a mettere le radici per un calcio diverso da quello attuale. Chiaramente, accettare come sponsor della Lega Pro un’azienda leader nel mondo delle scommesse non era in linea con questa filosofia. E così, d’accordo col consiglio direttivo, ho deciso di rinunciare. È stata una decisione faticosa, ma condivisa...».

Partiamo dall’inizio, presidente Gravina. Quale genere di offerta vi era arrivata? È successo nel giugno scorso. La società GoldBet (tra le principali concessionarie di scommesse sportive in Italia, ndr) ci ha proposto un contratto di sponsorizzazione triennale...

Quanto c’era sul piatto? Tre milioni di euro, uno all’anno.

Una grossa somma, per voi della Lega Pro? Direi proprio di sì. Per rendersene conto, basta considerare che l’attività commerciale della nostra Lega viaggia, più o meno, sui 90mila euro l’anno. Ciò detto, può immaginare quale fosse l’appeal economico di una proposta come quella...

Ma lei ha deciso di rifiutare. Perché? Ho pensato che la coerenza rispetto a certi valori fosse più importante. Ho detto alle società della Lega: vi debbo fare una comunicazione, capisco che perderemo e perderete dei soldi, ma mi appello alla vostra coerenza.

E i dirigenti delle società cosa le hanno risposto? C’è stato un pizzico di scetticismo, come lei può immaginare. Ma alla fine è passato il messaggio che volevo far passare, legato non a quanto stavamo perdendo in termini economici ma piuttosto a quanto volevamo, e vogliamo, comunicare in termini di credibilità rispetto ai nostri calciatori, ai nostri tifosi e anche ai nostri figli. Parliamo di una fetta importante del calcio italiano, con 60 club che appassionano 6 milioni di sostenitori...

Ma lei non solo ha detto «no, grazie» a un big delle scommesse. Ha fatto di più... Abbiamo preso una decisione che non ha precedenti nella storia della Lega pro. Anche per marcare una distanza da certe situazioni, abbiamo siglato un accordo di collaborazione con l’Unicef. Una novità assoluta per via dell’introduzione del naming...

Cioè? Per la prima volta nella storia, abbiamo dato un nome al campionato 'Lega Pro per Unicef'. L’abbiamo fatto perché secondo noi il calcio, che resta lo sport più coinvolgente nel nostro Paese, deve saper mobilitare non solo valori sportivi e agonistici, ma soprattutto valori etici, dando un aiuto a chi è meno fortunato.

E come lo darete? Coi fatti, non con le chiacchiere. Ci stiamo impegnando concretamente, partita dopo partita, nel raccogliere fondi per i bambini di tutto il mondo, attraverso l’Unicef. Pensi che solo in una gara di lunedì scorso, Alessandria-Cremonese, attraverso il lancio in campo di centinaia di peluches, sono stati raccolti 11.500 euro, che affideremo all’Unicef.

E come agite per allontanare i tentacoli di Scommessopoli dalla Lega Pro? Si può estirpare la malapianta? Penso di sì. Noi abbiamo investito nella lotta al match fixing, siglando un accordo con una delle più importanti organizzazioni mondiali, Sport Radar, per monitorare i campionati, in un mondo in cui esistono purtroppo maglie larghe e la malavita spesso s’infiltra... Noi subiamo questo tipo di violenza, ma dobbiamo stringere le maglie e far sì che non avvenga più...

Da presidente a presidente, cosa può dire a Carlo Tavecchio? Una retromarcia azzurra sarebbe auspicabile? Fatico a dare consigli a me stesso, quindi non saprei darne a lui. Dico solo che questo, per l’universo calcio, è un momento delicato e se, prima di prendere quella decisione, ci fosse stata per tutti la possibilità di confrontarsi, ciò magari avrebbe potuto aiutare a raccogliere punti di vista differenti.

E, magari, a mandare ai giovani un messaggio più sano? Io penso che il gioco e lo sport, quelli veri, non abbiano nulla a che fare con le ludopatie. Noi abbiamo ragazzi e bambini a cui dobbiamo far capire che il gioco è un’altra cosa. Se si vuole lavorare per un calcio diverso, all’insegna dei veri valori, bisogna dare una testimonianza diversa. Ed è quello che abbiamo scelto di fare, con umiltà ma anche con fermezza.

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