I centri di detenzione per migranti in Libia sono gestiti da milizie irregolari, in combutta con i trafficanti che gestiscono le traversate. Gironi infernali in cui finisce, tra violenze e soprusi, non solo chi arriva in Libia per tentare il salto in Europa, ma anche immigrati da anni regolarmente in Libia. Arresti arbitrari, senza accuse né processi, che hanno come unica possibilità di scampo il pagamento di un riscatto. E spesso chi esce da queste galere è imbarcato contro la sua volontà. È un quadro raccapricciante quello riferito da Medici Senza Frontiere, che ha avuto modo di visitare sette centri a Tripoli, «formalmente controllati dal Dipartimento per il controllo della migrazione illegale sotto il governo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite – spiega Arjan Hehenkamp, uno dei direttori generali di Msf – ma di fatto gestiti da vari gruppi di miliziani». Bande che si fanno pagare per la scarcerazione. In queste condizioni sono almeno 10mila persone, afferma Hehenkamp, direttore di Msf Olanda, in una conferenza stampa alla Sala Stampa Estera.
Pessimistiche le conclusioni che il direttore trae, dopo una settimana di difficoltose ispezioni dirette e di approfondite analisi sul campo fatte dall’organizzazione umanitaria, da tempo presente in Libia: «Al momento è impossibile pensare che la Libia odierna possa essere parte di qualsiasi soluzione alla crisi dei migranti», se nella stessa Tripoli manca «un’autorità centrale che controlli il territorio», tanto che la capitale è oggi divisa in tante parti quante sono le milizie che le controllano. Arjan Hehenkamp riferisce di «condizioni disumane, spazi che contengono il quintuplo delle persone che potrebbero accogliere, in condizioni assolutamente inaccettabili per gli abusi. Le persone rappresentano soldi, sono costrette a ottenerli dai familiari, in Libia o dai paesi di origine, per uscire. E spesso la traversata verso l’Europa è una via di fuga da tale situazione».
Che è totalmente fuori controllo, tanto che nei centri di detenzione libici non ci sono solo i migranti partiti dall’Africa subsahariana per raggiungere l’Europa, ma anche persone che «vivevano e lavoravano da decenni in Libia, magari catturate in strada»: «Un uomo mi ha raccontato di essere rinchiuso da due mesi – riferisce il direttore di Msf – nonostante avesse i documenti in regola e vivesse da molti anni in Libia, arrestato mentre tornava dalla sua famiglia che abita a poche centinaia di metri dal centro di detenzione». Gli africani subsahariani, soprattutto nigeriani, «sono oggetto di una vera e propria caccia». E afferma che «il 40% della gente che viene imbarcata riferisce che vi è stata costretta». C’è chi cerca di rifiutarsi di salire su barche fatiscenti, altri che non hanno proprio intenzione di fare la traversata. «È un business, un sistema organizzato, sono le gang di trafficanti che decidono della vita di queste persone».
L’Unione Europea «sta sistematicamente chiudendo ogni possibile via sicura per arrivare qui, ma questo costringe queste persone a pericolose traversate». Hehenkamp replica anche ai sospetti di Frontex circa presunte contiguità tra le ong di soccorso e i trafficanti: «Siamo vicini alle elezioni in Francia, Germania e forse in Italia, il rischio elettorale è alto e ci sono forti pressioni politiche sulle ong per una riduzione generale dei soccorsi, per fermare i flussi e assecondare l’opinione pubblica. È un disegno per intimidire le ong e far calare le offerte dei privati».