sabato 2 giugno 2018
Dalle autorità algerini rimpatri non concordati. Le testimonianze: violenze fisiche alle frontiere, costretti a ritornare in Niger. Con il caos in Libia, i flussi passano dall'Algeria
Profughi respinti dall'Algeria al centro di prima accoglienza dell'Oim a Agadez (Niger)

Profughi respinti dall'Algeria al centro di prima accoglienza dell'Oim a Agadez (Niger)

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Il cadavere di Adijha (nome di fantasia) è riuscito a raggiungere il 19 maggio Agadez, la 'porta del deserto' del Niger. Insieme al corpo senza vita c’erano i due figli piccoli, entrambi malati di tubercolosi. Le organizzazioni umanitarie si stanno prendendo cura di loro. Sono però centinaia i 'rimpatriati' che hanno attraversato il confine con l’Algeria per ritornare faticosamente sui loro passi. Sebbene non siano stati rilasciati i dettagli di Adija e i suoi bambini, dal 2017 sono 'almeno 10mila' i migranti che vengono abbandonati dagli algerini nel deserto a morire. Le autorità usano camion, autobus e a volte li costringono a camminare per lunghi tragitti in mezzo al nulla indicandogli la rotta verso cui dirigersi.

Quelli che sopravvivono tornano così a sud e vengono ospitati nei centri d’accoglienza. Hanno fame e sete, ma non possono comprare nulla. Sono tutti traumatizzati dalle violenze fisiche e psicologiche dei gendarmi alle frontiere o ai vari posti di blocco disseminati nella regione del Sahel, e il cui personale è spesso finanziato e addestrato con i soldi dell’Unione europea (Ue). È in questi luoghi inospitali, lontano dai riflettori della giustizia internazionale, che donne, uomini e bambini in cerca di una vita migliore vengono violentati, arrestati, insultati e derubati. «Non sappiamo più cosa aspettarci da questi rimpatri e espulsioni che non sono coordinati con nessuno», denuncia ad Avvenire Giuseppe Lo Prete, capo-missione dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) in Niger. «Ci prepariamo pur non conoscendo il momento delle eventuali partenze dall’Algeria. Le autorità nigerine sono infatti molto contrarie a tale comportamento – spiega Lo Prete –, ma finora il governo algerino non ha dato alcun peso a tali critiche». Dal 2014, sono oltre 31mila i migranti riportati in modo molto discreto dall’Algeria in Niger. «I servizi di sicurezza algerini bloccano gli stranieri appena li intercettano e li fanno tornare indietro – recita un comunicato dell’Oim –. Da settembre abbiamo inoltre notato un forte aumento delle espulsioni di migranti non-nigerini che vengono presi nei cantieri o nei luoghi di lavoro per essere riportati a circa 30 km dalla frontiera». Mentre la maggior parte di loro arriva in Niger camminando, alcuni cercano persino di rientrare in Algeria.

«Siamo trattati come animali – iniziano così i racconti di chi è arrivato nel centro d’accoglienza dell’Oim a Agadez –. Sono entrati nella mia stanza per trasportarmi al confine e hanno minacciato di violentare mia moglie se non avessi seguito i loro ordini». Molti migranti residenti in Niger hanno parlato di «una caccia al nero africano». C’è anche chi ha vissuto in Algeria per anni e non ha avuto il tempo di raccogliere i suoi risparmi, tornando così in Niger senza un soldo.

Da mesi i flussi migratori passano soprattutto dall’Algeria poiché la via attraverso la Libia è «quasi completamente bloccata», sostengono le agenzie umanitarie. Alle frontiere ci sono militari nigerini, soldati dell’operazione francese nel Sahel, 'Barkhane', e membri della missione europea, Eucap-Sahel. Oltre alla possibilità di intervenire militarmente, le autorità locali partecipano a dei corsi di formazione per gestire le migrazioni e occupare un territorio ricco di risorse naturali in cui persevera la minaccia jihadista. «Il Niger è diventato un laboratorio per le migrazioni usato dall’Ue – sostiene il sito d’informazione 'Refugees deeply': i fondi stanno portando elettricità e internet in posti di blocco remoti, aumentando il numero di giudici incaricati dei casi di traffici nella regione, e fornendo camion, jeep 4x4, moto e telefoni satellitari alle forze di sicurezza locali». Nonostante ciò, la missione dell’esercito italiano, mai veramente iniziata, dovrebbe finire a settembre. Nella capitale nigerina, Niamey, sono in molti a chiedersi cosa ci fanno 40 dei nostri soldati nella base militare americana presso l’aeroporto. «I militari italiani non sono armati e sembra non facciano niente tutto il giorno», afferma sotto anonimato una fonte occidentale di base a Niamey. Dopo una battaglia tra autorità italiane e nigerine sulla stampa locale e internazionale, il presidente del Niger, Mahamadou Issoufo, grande alleato della Francia, non si è ancora espresso sul desiderio di essere aiutato militarmente dall’Italia. Allo stesso modo, l’esercito e l’ambasciata italiana nel Paese, contattati entrambi più volte da Avvenire, preferiscono non commentare.

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