lunedì 24 giugno 2024
Dagli scienziati del progetto “Mnesys”, il più ampio programma di studi sul sistema nervoso mai varato in Italia, arrivano importanti novità sull'innesco di alcune gravi malattie neurodegenerative
Anche se in gran parte inesplorato, il cervello inizia a svelare informazioni vitali sul suo funzionamento

Anche se in gran parte inesplorato, il cervello inizia a svelare informazioni vitali sul suo funzionamento - Ansa

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Il programma “Mnesys” sul cervello, finanziato con uno stanziamento record di 115 milioni di euro dei fondi Pnrr, che mette insieme 12 atenei pubblici e privati e 13 centri di ricerca, è strutturato in sette macro-progetti (Spoke), ai quali contribuiscono ricercatori di diversi enti, circa 70 per Spoke. Ciascuno Spoke, coordinato da una università, è articolato in circa 30 progetti di ricerca. Lo Spoke 7, coordinato dall’Università di Verona, è dedicato alla “Neuroimmunologia e Neuroinfiammazione”, con enormi ricadute già in qualche modo adottate dalla scienza, come quella della scoperta del sistema immunitario che “infiamma” il cervello. Per molto tempo, infatti, si è pensato che il sistema nervoso centrale fosse autonomo e che il cervello si difendesse da solo per via della barriera encefalica che lo blinda da attacchi esterni. Si parlava così di “santuario immunologico privilegiato”. «Così non è: il cervello e il sistema immunitario hanno un fitto dialogo, importante non solo per la difesa del cervello, ma anche per il suo funzionamento – spiega Gabriela Constantin, ordinaria di Patologia generale e immunologia all'Università di Verona e coordinatrice dello Spoke 7 -. Lavoriamo per comprendere il coinvolgimento del sistema immunitario in malattie neurodegenerative, come la sclerosi multipla e l’Alzheimer, patologie per cui l’infiammazione del cervello ha un ruolo solo recentemente individuato».

Linfociti T e sclerosi multipla

In questo contesto si colloca una ricerca dell’Università di Tor Vergata di Roma, appena pubblicata su Frontiers in Immunology, che riguarda il ruolo dei linfociti T, cellule immunitarie fondamentali, nell’induzione della sclerosi multipla. In questa malattia i linfociti T si attivano in maniera anomala, vanno cioè oltre la risposta autoimmune, e danneggiano i tessuti del sistema nervoso centrale. ordinario di Neurologia a Tor Vergata e direttore dell’unità di Neurologia e della Stroke unit all’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) - attenuata dal trattamento con Siponimid, un farmaco che intrappola i linfociti negli organi linfoidi, impedendo la loro entrata nel sistema nervoso dove provocherebbero danno>. Un altro farmaco che riduce gli effetti neurotossici indotti dai processi infiammatori a livello delle sinapsi, è la molecola Interleuchina-9 come i ricercatori dello Spoke 7 hanno documentato in uno studio pubblicato sul Journal of Neuroinflammation. «La ricerca dimostra che nella sclerosi multipla la somministrazione di questa molecola riduce l’infiammazione dannosa e migliora i sintomi della malattia in modelli sperimentali», prosegue Centonze.

Lo Spoke 7 sta inoltre cercando biomarcatori predittivi di malattie neurodegenerative, come emerge dagli studi guidati da Massimiliano Calabrese, docente di Neurologia dell’Università di Verona, che verranno pubblicati a breve sulla rivista Neurology Neuroimmunology & Neuroinflammation, nei quali si identificano due proteine associate alla sclerosi multipla. «Abbiamo identificato l’osteopontina – evidenzia Calabrese -, una proteina coinvolta nel rimodellamento osseo con rilevanti azioni pro-infiammatorie, spia del calo numerico e funzionale dei neuroni e delle loro connessioni e della progressione della malattia in pazienti con sclerosi multipla in fase precoce. Un’altra proteina, la parvalbumina, all’esordio della malattia, è un indicatore in grado di anticipare lo sviluppo di danno cerebrale a distanza di 4 anni».

Il ruolo dei globuli bianchi nell’Alzheimer

Ma torniamo al sistema immunitario che, come detto, gioca un ruolo fondamentale anche nella malattia di Alzheimer. «Stiamo dimostrando che i globuli bianchi che circolano naturalmente nel sangue possono migrare nel cervello, posizionandosi vicino ai neuroni nelle zone importanti per la memoria – dichiara Constantin -. Questo fenomeno di migrazione ha un ruolo fondamentale nella malattia di Alzheimer e il suo blocco ha un effetto terapeutico, riducendo l’infiammazione e migliorando la memoria. Le nostre ricerche indicano pertanto che i globuli bianchi possono indurre un danno diretto alle cellule del cervello e contribuire allo sviluppo dei deficit cognitivi».

Lo Spoke 7 indaga pure sulle forme di epilessia resistenti ai farmaci. Una ricerca pubblicata su Frontiers in Cellular Neuroscience lo scorso anno, si è focalizzata sul ruolo della ferroptosi, un nuovo tipo di morte cellulare programmata provocata dall’accumulo di ferro, nell’induzione di epilessia. «L’aumento della ferroptosi nel cervello è correlato a una disfunzione del sistema immunitario e caratterizzato da una reazione infiammatoria che potrebbe contribuire all’insorgenza dell’epilessia. È stato dimostrato che la ferroptosi è coinvolta in questa malattia, in particolare nelle forme resistenti ai farmaci e comprenderne il meccanismo apre nuove strade per il trattamento dell’epilessia», afferma Enrico Cherubini, direttore scientifico dell’European Brain Research Institute Rita Levi–Montalcini (Ebri) e coordinatore del laboratorio congiunto Ebri - Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sull’epilessia resistente ai farmaci nei bambini.

Nuove terapie per i bimbi prematuri, i benefici della melatonia

Dedicato al tema “Neurosviluppo, cognizione e interazione sociale”, lo Spoke 1 di Mnesys, coordinato dall’Università di Parma e concentrato sui bimbi prematuri, aspira invece a identificare precocemente le malattie del neurosviluppo e a combatterle con terapie mirate. In particolare, l’Istituto Gaslini di Genova ha pubblicato nel 2023 su Developmental medicine and child neurology, uno studio condotto su 240 neonati (tra il 2012 e il 2017) seguiti fino all’età di 3 anni, sull’impatto di piccole emorragie intraventricolari e cerebellari che colpiscono i bambini prematuri, visibili soltanto grazie a raffinate indagini di Risonanza. L’identificazione immediata delle lesioni può condurre a una rapida e tempestiva riabilitazione dei bambini, come assicura la neuropsichiatra infantile dell’Università di Genova, Sara Uccella.

Mentre un altro studio del dicembre scorso, condotto sempre dall’Università di Parma, e pubblicato da Reviews in the Neurosciences, si è concentrato sull’identificazione di potenziali biomarcatori precoci di lesioni cerebrali a seguito di ipossia-ischemia. L’encefalopatia ipossico ischemica è una delle maggiori cause di morte e disabilità neurologica nei neonati. Si stima che colpisca 1,5 su 1.000 nati a termine e fino al 60% dei neonati prematuri di peso inferiore a 1.500 grammi. Ebbene, la ricerca ha evidenziato il ruolo della melatonia che, come spiega la professoressa di Pediatria dell’università emiliana, Serafina Perrone, «è in grado di intervenire nei processi di crescita e proliferazione cellulare a seguito di asfissia, fornendo una potenziale terapia aggiuntiva da utilizzare in combinazione con l’ipotermia terapeutica per ottenere migliori risultati neurologici a lungo termine>. E in una ricerca condotta ancora a Parma – e pubblicata su Antioxidants sulla base dei dati che hanno riguardato 23 neonati sottoposti a operazioni chirurgiche -, è stato rilevato che la stessa melatonina contribuisce a ridurre l’infiammazione legata allo stress ossidativo nei neonati. Questo studio pilota – osserva Perrone - ha verificato l’efficacia di una integrazione per via orale della melatonina nel ridurre i prodotti biologici dello stress ossidativo, e ha dimostrato il ruolo di questo ormone nella protezione dei neonati dalle conseguenze deleterie che lo stress ossidativo può causare, come dolore e alterazioni neurocomportamentali».

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