Foto Fabio Moscatelli
Da cinque anni la presenza in Italia dei rom in emergenza abitativa è in costante calo per diverse cause. Nell'odierna Giornata Internazionale dei rom l'Associazione 21 luglio censisce la presenza nei campi comunali e informali e lancia un appello: «I tempi sono maturi per gettarci alle spalle la triste stagione dei “campi rom” inaugurata negli anni '90, rafforzando il percorso verso la chiusura di insediamenti monoetnici». L’8 aprile viene celebrata in tutto il mondo la Giornata nata nel 1971, quando intellettuali e attivisti rom di tutta Europa si incontrarono a Chelsfield, vicino Londra, in un congresso internazionale per riflettere sulla condizione delle rispettive comunità.
Il quadro numerico tra campi comunali e informali. Se è impossibile definire in modo certo il numero delle persone rom e sinte presenti sul territorio nazionale, la stima che emerge dalla mappatura svolta da Associazione 21 luglio - nel Rapporto Annuale di prossima pubblicazione - riferisce di circa 18 mila rom in emergenza abitativa, cioè nei cosiddetti "campi sosta". Di essi circa 11 mila sono in insediamenti progettati, costruiti e gestiti dalle istituzioni locali. Meno di 7 mila in insediamenti informali. In Italia si contano 111 insediamenti formali per soli rom, in una sessantina di Comuni italiani, con una presenza interna di rom di cittadinanza italiana che raggiunge il 49%. La città con più presenze è la Capitale, dove vive il 41% dei rom presenti negli insediamenti formali italiani. Sempre la città di Roma, insieme a Napoli, conta il più alto numero di persone, per la quasi totalità di cittadinanza rumena, negli insediamenti informali.
Presenze in calo da cinque anni. Negli ultimi mesi è proseguito il calo numerico di presenze negli insediamenti monoetnici, già registrato a partire dal 2016, quando 18 mila erano i rom censiti nei 149 insediamenti formali e 10 mila negli insediamenti informali. L’anno successivo sono scesi a 16.400 in 148 insediamenti formali e 9.600 in quelli informali. Nel 2018 i rom censiti nei 127 insediamenti formali risultavano 15 mila, più di 9 mila quelli negli insediamenti informali. Nel 2029 la cifra si attestava su 12.700 presenze in 119 campi formali e 7.300 rom stimati in quelli informali. Un calo numerico significativo, dovuto - secondo l'Associazione 21 Luglio - a diversi fattori: volontà delle giovani generazioni nei “campi rom” di intraprendere percorsi di fuoriuscita; consapevolezza di diverse amministrazioni locali nel promuovere il superamento degli insediamenti; decisione di famiglie rom comunitarie di lasciare volontariamente il nostro Paese a causa della crisi pandemica ed economica.
In crescita i comuni che progettano il superamento dei campi rom. Se fino al 2014 alcune Amministrazioni risultavano ancora impegnate nella costruzione o nel rifacimento di nuovi insediamenti, è da circa 3 anni che si registrano invece azioni che nascono dalla volontà di superare i “campi rom”. In alcuni casi, come a Roma e Pisa, tali interventi si sono tradotti in azioni di sgombero forzato o di allontanamento delle persone in cambio di bonus economici una tantum. Diverso, invece, quanto osservato negli ultimi anni a Palermo, Moncalieri, Ferrara, Sesto Fiorentino, dove il superamento dei “campi rom” attraverso virtuosi processi inclusivi, si è concretizzato nell’ingresso delle famiglie all’interno di alloggi convenzionali. Pratiche di sgombero di insediamenti informali particolarmente violente si sono però registrate negli ultimi 18 mesi nelle città di Torino e Roma.
L'impatto del Covid-19 sui rom nelle baraccopoli. La crisi pandemica ha sicuramente peggiorato le condizioni di vita di numerose comunità in emergenza abitativa. Alcuni contesti sono stati segnati da deprivazione alimentare, assenza di accesso ai ristori economici dovuti ad attività lavorative irregolari, mancanza di monitoraggio delle autorità sanitarie sulle condizioni di vita delle famiglie negli insediamenti. Frequenti anche le difficoltà per seguire la didattica a distanza. «Nel lungo periodo, però, le conseguenze prodotte dal Covid-19 - sostengono i ricercatori della 21 Luglio - potrebbero portare ad un cambiamento della situazione. Il clima di ostilità nei confronti dei rom sembra sopito all’interno di una società “distolta” da problematiche legate nell’ultimo biennio alla politica sull’immigrazione e poi, dal 2020, alla pandemia da Covid». Lo scivolamento verso la povertà di una larga fascia della classe media e le conseguenti misure di sostegno economico promosse dal Governo (prolungamento del reddito di cittadinanza, bonus figli, bonus spesa, ecc…) «potrebbero rappresentare per molte famiglie residenti nei “campi” l’opportunità per uscire, attraverso il ricorso a sussidi universali, da croniche condizioni di indigenza».
Il caso Roma e il piano rom della giunta Raggi. Secondo le anticipazioni del Rapporto annuale di Associazione 21 luglio, probabilmente la città dove un rom in emergenza abitativa si troverebbe a vivere nella condizione peggiore resta la Capitale. Insediamenti formali in condizioni di abbandono, azioni sociali fallimentari, sgomberi forzati sono i tratti che caratterizzano la presenza delle comunità rom a Roma e il loro rapporto con la città. Il “Piano rom” della Giunta Raggi, pur se avviato con le intenzioni di superare gli insediamenti romani attraverso processi inclusivi, non ha mai mutato il suo rigido approccio, rivelando nel tempo l’incapacità di generare impatti significativi. Dall’inizio del “Piano rom”, malgrado i 12 milioni di euro già impegnati per l’inclusione abitativa che prevede l’erogazione di “bonus affitti” e il rimpatrio assistito, risultano meno di 10 i nuclei familiari collocati, attraverso tali strumenti, all’interno di abitazioni convenzionali.
21 luglio: evitare sperperi di fondi pubblici e violazioni dei diritti. Secondo Associazione 21 luglio è possibile continuare ad assistere ad un calo degli insediamenti monoetnici e al numero dei loro abitanti se si sapranno affinare politiche sociali efficaci, evitando sperpero di denaro pubblico e violazione dei diritti umani. «I tempi sono maturi per un cambio di passo – afferma Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione – per gettarci alle spalle la triste stagione dei “campi rom” inaugurata negli anni '90. A condizione di implementare modelli partecipativi e dialoghi costruttivi tra amministratori locali, comunità residenti nei “campi”, organizzazioni del terzo settore. Sarà fondamentale abbandonare la logica di politiche e strategie “speciali”, per privilegiare strumenti ordinari a disposizione di qualsiasi cittadino, senza quei profili discriminatori che, come accaduto sino ad ora, finiscono puntualmente per stigmatizzare intere comunità».