Anche quest’anno agli agricoltori della Piana di Gioia Tauro vengono offerti 25-30 centesimi al chilo per le clementine. Le stesse che poi al supermercato troveremo a più di 2 euro. La cooperativa Valle del Marro, che coltiva terreni confiscati alla ’ndrangheta, le venderà, invece, a 1,5 euro, grazie agli accordi coi Gruppi di acquisto solidale e la Coop. Clementine, oltretutto, biologiche, accuratamente certificate. Lo fa da tre anni, con grande successo. E le richieste sono talmente tante che, come ci spiega il presidente della cooperativa, Giacomo Zappia, «non ci basteranno quelle che produciamo. Così – aggiunge – siamo pronti a comprare quelle di altri agricoltori della Piana offrendo 50 centesimi al chilo, il doppio di quello che viene pagato dagli intermediari. Ovviamente solo se il prodotto è garantito come il nostro...». Poi ci penseranno loro alla confezione, una bella cassetta in cartone con la scritta "clementine della legalità", e al trasporto fino al Centro e al Nord del Paese. Tutto a quel prezzo. E i giovani della cooperativa ci guadagnano, facendo anche lavorare 22 persone che presto saliranno a 30, tra le quali anche alcuni immigrati come già negli scorsi anni quando hanno assunto anche dei lavoratori africani rimesti feriti nella protesta di Rosarno.Le clementine e, nei prossimi mesi anche le arance, sono l’ultima scommessa vinta dei giovani della Valle del Marro, nata nel 2004 per iniziativa della diocesi di Oppido-Palmi e di Libera e col sostegno del Progetto Policoro della Cei. «Cambiare per restare, restare per cambiare», era il loro slogan. Giovani cresciuti nella parrocchia di Santa Marina, la "chiesa madre" di Polistena, sotto la guida del parroco don Pino Demasi. «Liberi di esserci e di viverci», è un’altra delle loro frasi molto significativa. Così come «il sogno si fa segno». Un segno molto concreto, frutto dei 140 ettari che stanno coltivando con successo, confiscati alle principali cosche della ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, tra le più potenti in assoluto, dai Piromalli ai Pesce, dai Molè ai Crea e ai Mammoliti. Novanta ettari a uliveto, 40 a agrumeto (arance e clementine), 10 a orticultura. Tutto in biologico certificato. Da questi terreni, oltre agli agrumi, arrivano molti prodotti traformati: l’olio extra vergine d’oliva "Castellanense" (dal paese di Catellace, terra di uliveti e, purtroppo, feudo del clan dei Mammoliti), il pesto di peperoncino, i filetti di melanzana sott’olio, il patè di olive sia nere che verdi. Su tutti spicca la scritta "Il gusto di Calabria" con una "i" aggiunta sopra la "u", a formare la parola "giusto".E il cammino di "libertà" non si ferma. «Proprio in questi giorni a Castellace, in località Principe di Cordopatri – spiega ancora Giacomo –, abbiamo iniziato il raccolto da un uliveto realizzato cinque anni fa, mentre a maggio a Gioia Tauro, su un terreno confiscato ai Molè, metteremo a dimora 2.500 piante di clementine».Un successo che dà fastidio alla ’ndrangheta. Molti gli attentati, le minacce, le intimidazione che hanno accompagnato i quasi dieci anni di vita della cooperativa. Dal taglio degli ulivi all’incendio dei mezzi agricoli. Ma i giovani non si sono arresi. Domani si apre il processo contro gli uomini del clan, compreso il boss Saverio Mammoliti, responsabili del taglio di cento ulivi secolari. «Noi ci costituiremo parte civile», annuncia Giacomo. E anche questo è davvero un "segno".