In india la pandemia sta esplodendo. Nell'ultima settimana si sono registrati 1,6 milioni di nuovi contagi. Nella foto: Mumbai, un uomo pedala davanti a un murales del Mahatma Gandhi - (Photo by Punit PARANJPE / AFP)
Quasi 4 miliardi di dollari per combattere la pandemia nei paesi poveri possono sembrare tanti. Ma per uscire rapidamente dalla crisi globale – sanitaria ed economica – ne servirebbero almeno 22. «I soldi non si fabbricano per magia – dice Peter Sands – e i governi dovranno scegliere tra la salute e il resto». Come, ad esempio, le spese militari in costante aumento. Il lavoro di Sands oggi assomiglia a una missione impossibile. Direttore del Fondo globale delle Nazioni Unite per Aids, tubercolosi e malaria, da un anno deve combattere anche il Covid-19, che nei paesi poveri, assicura, «sarà causa indiretta di altre migliaia di morti». Britannico, si è diviso tra la ricerca ad Harvard e il mondo bancario. Già nel 2017, in tempi non sospetti, aveva ammonito circa gli effetti globali devastanti delle pandemie e la necessità di investire in sanità. Un super-esperto, realista quanto basta da non potersi permettere facili ottimismi. Ma che non ha intenzione di rassegnarsi.
La crisi economica prodotta da questa emergenza sanitaria globale è paragonabile ad altre o è un unicum?
Il mio background lavorativo è economico, non sono un medico o uno scienziato. E quindi posso dire che l’impatto economico di questa pandemia è gigantesco, molto peggiore della crisi globale del 2008. Se guardiamo l’analisi del Fondo monetario internazionale, la differenza tra un’uscita veloce e una lenta dalla pandemia ammonta a 9.3 trilioni di dollari, cioè 9,3 miliardi di miliardi. L’ACT-Accelerator - la più grande coalizione di organizzazioni e governi al mondo per accelerare lo sviluppo, la produzione e l'accesso equo agli strumenti Covid-19 - ha chiesto 22 miliardi di dollari. Se questi soldi fossero sufficienti per accorciare anche solo di un giorno l’uscita dalla pandemia, l’investimento sarebbe già ripagato. Il ritorno d’investimento per uscire rapidamente da questa crisi sarebbe astronomico, e non solo da un punto di vista economico.
Il 21 maggio a Roma si terrà il Vertice mondiale sulla salute, co-organizzato dall’Italia, presidente di turno del G20, e dalla Commissione europea. Che consiglio darebbe al summit?
Penso sia un incontro molto importante. Devono esserci discussioni sul futuro, naturalmente. Ma devono esserci anche discussioni sull’oggi. In alcuni Paesi europei e negli Stati Uniti c’è l’impressione di essere vicini alla fine, grazie alla campagna di vaccinazione. Ma la settimana scorsa si è registrato, globalmente, il numero più alto di contagi dall’inizio della pandemia. La crisi è iniziata ormai un anno fa, ma la situazione continua a peggiorare. E gli effetti secondari della crisi stanno intensificandosi.
A cosa si riferisce, direttore?
La mia preoccupazione è soprattutto per Aids, Tbc e malaria, le altre grandi malattie infettive nel mondo. Abbiamo svolto un sondaggio in 500 centri sanitari in Africa e Asia e i risultati sono abbastanza sconvolgenti. I test per diagnosticare l'Aids sono diminuiti del 41 per cento, quelli per la Tbc del 59, quelli per la malaria del 43. Questa riduzione nei servizi salvavita avrà come conseguenza inevitabile un aumento delle vittime. Nei paesi più poveri del mondo la vera misura dell'impatto del Covid-19 non è quante persone muoiono tra quelle che risultano positive al Coronavirus, ma è il totale dei morti: su altre malattie quasi sicuramente gli effetti secondari avranno un impatto maggiore dell’impatto diretto. In Ciad, Niger o Mali, la malaria verosimilmente ucciderà migliaia di persone.
In Europa e Stati Uniti è in corso una vasta campagna vacccinale. Ma molti paesi poveri non hanno nemmeno cominciato. La People’s Vaccine Alliance, rete globale di ong, chiede di accogliere la richiesta di India e Sudafrica, sostenuta da oltre 100 governi, di sospendere i brevetti sui vaccini per permetterne una produzione diffusa e accessibile. Anche solo per evitare lo sviluppo di varianti più aggressive.
È vero, non riusciremo a raggiungere un livello sufficientemente alto di copertura vaccinale nei paesi a reddito medio-basso, almeno fino alla fine del 2021 o all’inizio del 2022. Tuttavia l’ostacolo principale non sono tanto i brevetti, quanto la capacità manifatturiera e le barriere alla libera circolazione dei vaccini e degli “ingredienti”. E si sottovaluta l’importanza di sostenere questi Paesi con altri strumenti: non stiamo fornendo sufficiente supporto in termini di strumenti diagnostici, protezione degli operatori sanitari, cure, ad esempio l’ossigeno che serve a salvare vite. Stiamo combattendo un virus che evolve tanto più quanto più persone infetta. Ovviamente è necessario aumentare la produzione di vaccini, ma dobbiamo anche utilizzare altri strumenti. E per ora non è stato fatto abbastanza in questo senso. Il Fondo globale sta investendo 3.7 miliardi sul fronte "non vaccinale", ma ne servirebbero almeno 10.
I governi di tutto il mondo però sembrano avere altre priorità. Nel 2019 - secondo il Sipri - sono stati spesi 1.917 miliardi di dollari per le spese militari. Armi che non servono a difendere le perone da un nemico invisibile ma molto più reale. Da tempo il Papa chiede di ridurre la corsa agli armamenti.
Il dovere primario di un governo è proteggere le persone dai rischi più impellenti, ed è evidente che i governi di tutto il mondo abbiano fallito in questo, sia in termini di salute, sia di benessere economico. Saranno necessarie scelte dure: i soldi non possono essere fabbricati magicamente, quindi i governi dovranno scegliere le loro priorità, con un’enfasi sulla salute delle persone, a scapito di altre voci del budget.