Lo stabilimento ex Ilva
Dapprima erano filtrate notizie «non positive», scettiche, sull’ex Ilva. Ma dopo 4 ore di incontro, le considerevoli distanze sembrano accorciarsi fra Giuseppe Conte e Lakshmi e Aditya Mittal, padre e figlio, i vertici del gruppo Arcelor Mittal. Al suo fianco ci sono i ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli.
Nessuna certezza su come andrà a finire, ma almeno si è ottenuto il risultato di avviare il disgelo fra le parti: «AM è disponibile a un’interlocuzione», sono le prime parole pronunciate alle 23 passate da un premier stanchissimo nella sala stampa. È comunque un passo avanti rispetto alla minaccia di avviare «la battaglia giudiziaria del secolo». Il governo insiste sull’«obiettivo di un nuovo piano industriale», ma intanto il presidente del Consiglio apre a un «possibile coinvolgimento pubblico» e annuncia: «Chiederemo ai commissari di acconsentire al rinvio dell’udienza» fissata per mercoledì 27, «a condizione che Mittal assicuri il funzionamento degli impianti».
I rilievi penali venuti fuori nelle ultime ore dalle indagini delle procure a carico di AM avevano rischiato di minare in partenza il fragilissimo negoziato tra governo e proprietà franco-indiana. E anche il decreto-Taranto, che Conte ha già preparato con tanto di "scudo penale" e interventi per la città, via via scivola in secondo piano. È tarda sera, i mercati sono chiusi, quando comincia la riunione a Palazzo Chigi. Aspetta fuori l’ad italiana, Lucia Morselli, unitasi solo in un secondo tempo. Nei giorni scorsi c’erano stati dei segnali di apertura, spinti roprio dall’iniziativa delle procure. Ma adesso al centro dell’attenzione dei magistrati non c’è più il contratto tra governo e AM, non c’è il più il diritto o meno di recedere dagli accordi e spegnere gli impianti. Adesso si parla di reati. Ed è un problema grande.
«O garantite la possibilità di rispettare gli impegni contrattuali o reagiremo adeguatamente alla battaglia giudiziaria che voi avete voluto», sono le parole pubbliche con cui Conte fa precedere l’incontro. «Non possiamo accettare un disimpegno dagli impegni contrattuali», spiega il premier poco prima di entrare a Palazzo Chigi. Ciò vuol dire che il negoziato si svilupperà se ci sarà da parte di Arcelor Mittal la sospensione del procedimento per la revoca avviato in tribunale. Il 27 novembre è in programma a Milano un’udienza per decidere del ricorso presentato dal governo contro quella revoca. Un documento fra le parti potrebbe chiedere altro tempo e sospendere la via giudiziaria per lasciare spazio ai tavoli, anche con i sindacati.
Sarebbe un passo avanti, ma non è scontato. Anzi è cresciuto a dismisura il sospetto che la multinazionale voglia da tempo andar via a prescindere. Il governo, grazie a Cassa depositi e prestiti, almeno su questo fronte è riuscito ad arrivare "coperto", con un piano B che prevede la nomina di un commissario e una "nazionalizzazione-ponte" con un prestito, mentre si cerca una nuova cordata, passo operativo da affiancare alla «battaglia giudiziaria del secolo» per avere dall’azienda un risarcimento miliardario. Allo stesso tempo, gli incontri informali dei giorni scorsi erano serviti a tendere la mano del governo verso la proprietà sul tema della riorganizzazione: impossibile accettare 5mila esuberi, ma un compromesso che non danneggi i lavoratori si può trovare, anche in manovra.
L’esecutivo è pronto a far fronte a una contrazione temporanea della produzione e a garantire ammortizzatori sociali per un massimo di 2.500 esuberi (ma secondo alcune fonti si potrebbe arrivare a 3mila). In più ci sarebbe, appunto, lo scudo penale, uno sconto sugli affitti degli impianti e sulle bonifiche e, in prospettiva, un piano che punti alla decarbonizzazione. Il governo non può dare garanzie, come chiede l’azienda, sull’Altoforno 2, ma i commissari hanno già chiesto alla procura di Taranto più tempo per la messa in sicurezza.