Vada pure per le nuove carceri, ma basterà? Le associazioni umanitarie e i sindacati continuano a battere sulla necessità di introdurre misure alternative alla detenzione. Il governo, invece, sembra avere un altro orientamento: secondo il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, l’ipotesi di lavoro che il Guardasigilli sta studiando con maggiore attenzione è quella degli accordi bilaterali per far scontare la pena agli stranieri nei loro Paesi d’origine. Il primo approccio, con la Romania, l’anno scorso insieme al ministro dell’Interno Roberto Maroni. Sui tempi e sulle possibilità concrete di portare a termine trattative del genere regna però la prudenza. In agenda, continua la senatrice, è anche la praticabilità di «strutture più leggere per la custodia cautelare», distinte dunque dalle prigioni vere e proprie. Sta di fatto che i dati riportati domenica da Avvenire, riguardanti l’aumento dei suicidi in cella e il trabordare dei detenuti (64mila) rispetto alle capienze regolamentari (43mila), interpellano la politica e gli addetti ai lavori. La soluzione di medio periodo è nota: sul tavolo del ministro della Giustizia Angelino Alfano giace un piano firmato da Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione peniten- ziaria e commissario straordinario per la gestione dell’emergenza. Lo si conosce in termini generali: 1,5 miliardi di euro per circa 18mila nuovi posti letto, ottenuti con ristrutturazioni, nuovi padiglioni da aggregare ad edifici già esistenti, una ventina di istituti da costruire e altri (meno di dieci) da completare. Il tutto accompagnato da procedure d’urgenza per saltare qualche passaggio burocratico. Ma le domande sono tante. Usciranno i soldi per le nuove strutture? Al momento ci sono nel piatto circa 400 milioni, e l’esecutivo aspetta una risposta forte dei privati. E poi, a nuovi posti-letto corrispondono nuove guardie, mentre dal 2001 - denuncia il Sappe, che rappresenta la polizia carceraria - il loro numero è calato di 5.500 unità: ci saranno i concorsi? «È un problema complesso », ammette il sottosegretario. Ma soprattutto, prevedendo che i cantieri - nonostante le 'corsie preferenziali' - non apriranno a breve, gli addetti ai lavori si chiedono cosa si può fare subito. I racconti dalle prigioni sono impressionanti. In casi-limite ci sono dodici (e più) persone in dodici metri quadrati. Ovvero un metro quadro a testa. Si dorme a turni. I nuovi arrivati riposano a terra, su materassi senza brandine. Godere degli spazi esterni e delle ore d’aria è difficile. Il turn-over tra chi entra e chi esce crea scompiglio. Così sale la tensione, si rischiano disordini ogni giorno. E capita che la disperazione prenda il sopravvento, come dimostrano i dati sui suicidi. Ecco allora tornare in auge le 'pene alternative' e il proposito di aggiornare la legge- Gozzini dell’85. Tra gli istituti innovativi il segretario generale Sappe, Donato Capece, propone la 'messa in prova' di chi commette reati che non destano allarme sociale, i lavori socialmente utili senza ritorno notturno in cella (ma con prelievo sul salario per ricompensare le vittime), la libertà su cauzione. E poi, un vecchio pomo della discordia: il braccialetto elettronico, esperimento fallito nel 2001. Chi lo sostiene afferma però che la tecnologia è diventata più affidabile. Per il momento, fa sapere la Casellati, non sono misure in valutazione. Ma non è detto che la chiusura sia definitiva. In ogni caso il fronte che sostiene interventi immediati non desisterà: domani presenteranno le loro proposte, in una conferenza stampa congiunta, penalisti, sindacati e associazioni.