martedì 16 aprile 2024
L'ex premier: l'Europa così perde terreno, integrazione anche tra un gruppo di Stati se non ci stanno tutti. Letta: servono imprese più grandi per competere
Draghi: cambiamento radicale per la Ue, serve più coesione

ANSA

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«Abbiamo bisogno di un’Unione europea che sia adatta al mondo di oggi e di domani. Quello che proporrò nel mio report è un cambiamento radicale: è ciò di cui abbiamo bisogno». Per Mario Draghi l’Europa è di fronte a una sfida decisiva per il suo futuro. Anticipando i temi del suo rapporto sulla competitività dell’industria Ue, su incarico della Commissione di Bruxelles, l’ex premier sottolinea come l’Unione sia in ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina e come occorra un significativo rafforzamento della coesione europea per reggere nella nuova competizione globale. Su un piano parallelo anche Enrico Letta spinge nella medesima direzione: domani l’ex leader Pd presenterà al Consiglio straordinario Ue dedicato alla competitività le sue proposte sul mercato unico europeo (Much more than a market, Molto più di un mercato, è il titolo) nel quale, spiega, occorre più integrazione perché oggi le aziende del Vecchio continente soffrono di «un deficit di dimensione sorprendente rispetto alle concorrenti globali».

Insomma oggi l’Europa a 27 è troppo poco competitiva e l’unico antidoto al declino è il rafforzamento della sua coesione interna. Tra tutti i Paesi membri possibilmente, è l’auspicio di Draghi: ma se ciò non è possibile anche tra «un sottogruppo di Paesi» più determinati degli altri.
L’ottica del ragionamento è eminentemente economica. Ma le ricette dei due ex capi del governo italiano vanno in direzione opposta alle suggestioni sovraniste e nazionaliste. «Non abbiamo mai avuto una strategia industriale Ue», ha affermato Draghi parlando a una conferenza organizzata dalla presidenza di turno Ue del Belgio. «Abbiamo confidato in un ordine internazionale basato su regole, aspettandoci che altri facessero lo stesso. Ma il mondo è cambiato rapidamente, ci ha colto di sorpresa, altri non rispettano più le regole».

Draghi è considerato un atlantista di ferro ma sottolinea come le politiche sia di Pechino che di Washington siano «progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre o, nel caso peggiore, per renderci permanentemente dipendenti da loro». Nel caso della Cina, ad esempio, sulle tecnologie verdi. Nel caso americano con una politica industriale «per attrarre capacità manifatturiere all’interno dei propri confini, compresa quelle delle aziende europee». Così mentre le grandi potenze dispiegano «il proprio potere geopolitico per orientare e proteggere le catene di approvvigionamento», nella Ue «manca una strategia per proteggere le nostre industrie dal terreno di gioco globale ineguale». Ma la competitività non si riconquista «da soli o gareggiando a vicenda», dobbiamo «agire come Unione in un modo mai fatto prima», evidenzia Draghi. E data l’urgenza delle sfide, non possiamo permetterci il «lusso di ritardare le risposte fino al prossimo cambiamento dei trattati». Va «sviluppato ora un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche» tra tutti i Paesi. E se non fosse fattibile, «in alcuni specifici casi dovremmo essere pronti a considerare di andare avanti con un sottogruppo di Stati, ad esempio sull’unione dei capitali per mobilitare investimenti».
Il lavoro di Enrico Letta fa seguito a 400 incontri con governi, gruppi politici e parti sociali dell’Unione. Con un faro acceso (sempre su mandato di Bruxelles) sullo stato del mercato unico europeo che oggi va riadeguato alle dimensioni della competizione globale. Nato «in un mondo più piccolo», quando l’Europa era divisa in due e la Cina un nano economico, oggi il mercato interno deve superare i confini nazionali che ancora ci sono. Letta pensa soprattutto a una «crescita di scala» nei settori dei servizi finanziari, dell’energia e delle comunicazioni elettroniche. Occorre rendere la capacità europea «compatibile con gli obiettivi della transizione equa verde e digitale». Un’altra priorità è mobilitare verso gli investimenti il capitale privato e rivedere le norme sugli aiuti di Stato. Per Letta le «quattro libertà del mercato, circolazione persone, beni, servizi e capitali», non bastano più. Al centro va posta una «quinta libertà» della ricerca e dell’innovazione, «promuovendo così un ecosistema in cui la diffusione della conoscenza» favorisce la vitalità economica, il progresso sociale e culturale. Giovedì a Bruxelles la presentazione ai leader Ue.
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