Tornano sui libri per conquistarsi un momento di libertà e per costruirsi un futuro migliore. Alcuni studiano per passione e curiosità, altri per ricostruire la fiducia in sé stessi. «In galera, avere degli obiettivi da raggiungere dà un senso alle proprie giornate», spiega Paola Marchetti, detenuta nel carcere "Due palazzi" di Padova che si è iscritta all’università. Tornare sui libri, per lei, rappresenta un’occasione per vivere un’altra vita e per tenere allenato il cervello «che spesso in carcere si atrofizza, stimolato com’è dal nulla più assoluto».Ma la vita dello studente universitario, dietro le sbarre, è tutt’altro che semplice. Tra codici e vocabolari, manuali e dispense molti sono costretti a studiare di notte, quando il carcere rallenta i suoi ritmi e la confusione si attenua. «Provate a concentrarvi in una stanza dove ci sono 10-11 donne che parlano, con il televisore sempre acceso e a volume alto», aggiunge Paola. Le celle stracolme e cariche di tensioni sono il luogo meno adatto per preparare un esame.Eppure, scommettere sulla cultura e su una formazione di tipo universitario può essere una chiave importante per favorire il recupero e il reinserimento dei detenuti. Malgrado le difficoltà, sono in tanti a scommettere sul valore dello studio: nel 2008 (ultimi dati disponibili) erano 304 i detenuti che sostenevano regolarmente gli esami mentre 19 avevano ottenuto il titolo di dottore. Le facoltà più gettonate? «Scienze politiche, giurisprudenza. E in generale tutti i corsi di laurea che non prevedono frequenza obbligatoria o laboratori», elenca Massimo Pavarini, docente di diritto penitenziario all’università di Bologna. Complessivamente erano 82 gli iscritti alle facoltà di ambito giuridico e 58 agli insegnamenti di ambito politico-sociale, 80 gli iscritti alla facoltà di ambito letterario.«Le università offrono le risorse didattiche agli studenti che non possono frequentare – spiega ancora Pavarini –. Già da molti anni si costituiscono le commissioni che entrano in carcere per gli esami o le sessioni di laurea». In alcune carceri sono state realizzate apposite sezioni per garantire a un certo numero di detenuti la possibilità di studiare: i Poli universitari penitenziari, che vengono istituiti a seguito di una convenzione tra l’università, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria e l’istituto di pena. Sedici i Poli universitari penitenziari oggi esistenti, animati da volontari, tutor e docenti universitari; nati nel corso degli ultimi dodici anni per sostenere i detenuti che vogliono completare, o iniziare da zero, il loro percorso universitario.A fare da apripista, nel 1998, la casa circondariale "Le Vallette" di Torino. Dove, grazie a un protocollo d’intesa tra l’università di Firenze, la Regione Toscana e il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, venne istituito il primo polo didattico d’Italia. Nel 2000 vennero attivati poli universitari in Emilia-Romagna, a Bologna e in Toscana. Nel 2003 è la volta del Lazio, con la convenzione tra l’università Tuscia di Viterbo, e di Catania (qui i detenuti possono usufruire di un polo con particolare attenzione alla teledidattica). Il 2004 vede fiorire ben cinque poli didattici a Padova, Sassari, Alghero, Catanzaro e Lecce mentre, dal 2006, hanno la possibilità di studiare giurisprudenza ed economia venti detenuti del carcere di Brescia. Di più recente formazione, i poli nel carcere di Sulmona e Rebibbia. I detenuti più fortunati, quelli che scontano la pena all’interno delle sezioni del Polo universitario, hanno a disposizione spazi adeguati in cui possono concentrarsi sullo studio e assistere alle lezioni tenute da docenti universitari o tutor. «Qui l’ambiente è diverso – spiega Pietro Vanni, laureando in Economia nel "Due Palazzi" di Padova – prendiamo forza dall’avere un obiettivo comune. Abbiamo stanze per lo studio, ma soprattutto la sera posso dedicarmi ai libri senza essere disturbato». Nel Polo del penitenziario padovano, infatti, ci sono spazi più ampi, più silenzio e maggiore libertà di movimento: le celle, infatti, vengono tenute aperte nelle ore diurne.Condizioni ben diverse da quelle in cui devono studiare la maggior parte degli aspiranti dottori che si trovano nelle sezioni comuni. «Ci sono ragazzi che si alzano un’ora prima degli altri per studiare nel bagnetto della cella – spiega Rosanna Tosi, volontaria nel Polo universitario del carcere di Padova –. Altri che rinunciano all’ora d’aria per avere qualche momento di tranquillità».«Sulla carta, il diritto allo studio è garantito – dice Pavarini – ma con il sovraffollamento è tutto molto più difficile. Le emergenze, oggi sono altre». E poi c’è un problema di spazi: negli anni ’70 e ’80 le carceri sono state costruite sotto l’emergenza del terrorismo e della criminalità organizzata. «La dimensione della sicurezza ha prevalso su tutto, ci sono pochissimi spazi per socializzare – conclude Pavarini –. Per organizzare l’offerta didattica servirebbero spazi che oggi mancano».