martedì 14 maggio 2024
Con Alessia Pifferi, condannata per aver lasciato morire la figlioletta, aumentano le detenute con “fine pena mai”: madri assassine, terroriste, mafiose. Da Rosa Bazzi a “Lady Camorra”
Alessia Pifferi

Alessia Pifferi - Fotogramma

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In attesa dei giudizi di appello, Alessia Pifferi, condannata all’ergastolo dai giudici di Milano per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di diciotto mesi, sarà presto trasferita nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. La struttura carceraria, senza sbarre nè celle, dispone di un reparto femminile chiamato “Arcobaleno” dove sono ospitate altre donne che hanno ucciso i propri figli e affrontano un percorso di recupero e cura.

Alla data del 30 aprile, secondo i dati del ministero della Giustizia, erano 2.649 le donne presenti nelle carceri italiane, sul totale di 61.297 persone recluse. Di queste, 20 hanno almeno un figlio di meno dodici mesi al seguito (in tutto 23), gran parte dei quali ospitati negli istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam) di Torino “Lorusso e Cutugno”, Milano “San Vittore”, Venezia “Giudecca”, Cagliari e Lauro in Campania. E sono 38, con la Pifferi, le ergastolane mentre 72 devono scontare una condanna oltre i 20 anni. Si tratta, perlopiù, di terroriste o affiliate a organizzazioni criminali di tipo mafioso. Dodici le carcerate sottoposte al 41bis, tutte ristrette nell’istituto penale dell’Aquila “Le Costarelle”: vivono in uno stato di isolamento assoluto. Una donna su dieci è in regime di alta sicurezza.

Storie di disperazione e malavita

Ogni reclusa condannata al “fine pena mai” porta sempre con sé una storia di violenze e dolore. La 36enne Luana Cammalleri è finita dentro per aver ucciso il marito, in complicità con l’amante. Il cadavere dell’uomo, un imprenditore agricolo del Palermitano, non è stato ancora rinvenuto. La sentenza della Corte d’Assise del capoluogo siciliano è stata pronunciata il 19 aprile scorso. Condannata in via definitiva all’ergastolo, invece, è la 74enne di Fagnano Olona, Melita Aina, anch’essa accusata di aver ucciso il consorte in concorso con altre due persone, il 12 aprile del 2014 a Somma Lombardo, in provincia di Varese. La donna è rinchiusa nella Casa circondariale di Como, accusata di essere la mandante dell’omicidio, si è sempre proclama innocente mentre i due esecutori, di origini tunisine, sono fuggiti all’estero.

Rosa Bazzi, oggi 60 anni, condannata con il marito Olindo Romano per la strage di Erba (avvenuta l’11 dicembre del 2006), dove morirono quattro persone, sconta il suo ergastolo (confermato anche in Cassazione) nel carcere di Milano Bollate. È al centro di una vicenda giudiziaria che ha fatto molto discutere dividendo gli italiani in “innocentisti” e “colpevolisti”. Dopo un ricorso alla Corte europea di Giustizia, 17 anni dopo i fatti, si discute la legittimità dell’istanza di revisione del processo: sono attualmente al vaglio dei giudici della corte d’Appello di Brescia presunte nuove prove che scagionerebbero i coniugi.

Tra le madri finite dietro le sbarre per aver ucciso figli c’è anche Veronica Panarello che nel 2014 a Santa Croce Camerina, nel Ragusano, strangolò il figlio Loris Stival di 8 anni con delle fascette di plastica lasciandone il cadavere in un canalone, a 4 chilometri dalla scuola che frequentava: disse di meritare l'ergastolo, ma alla fine fu condannata a 30 anni. Ma in carcere a scontare il “fine pena mai” si trovano anche le sorelle Silvia e Paola Zani, di 30 e 22 anni, condannate (con Mirto Milani, compagno di Silvia) per l’omicidio della madre Laura Ziliani, ex vigilessa di Temù, in provincia di Brescia, strangolata nella notte del 7 maggio 2021 e poi gettata in un fiume.

Ristrette in regime di isolamento

Ma non ci sono solo le “madri assassine”. Al 41bis, ristrette in una cella singola con una branda, un tavolo e una sedia incollata al pavimento, sorvegliate a vista dagli agenti di polizia penitenziaria perché ritenute pericolosissime, sono in dodici. Tra loro Teresa De Luca Bossa, la prima "Lady camorra" della storia criminale italiana (ha ispirato il personaggio di Scianel in Gomorra), finita dentro nel giugno del 2000 con altri 79 camorristi accusati di aver partecipato all'uccisione, con un'autobomba, del pregiudicato Luigi Amitrano. Nella lista "nera" delle recluse troviamo anche Nella Serpa, detta “la bionda”, arrestata nel marzo del 2012, una vera e propria boss della ‘ndrangheta di Paola, nel Cosentino, sorella di Pietro, ucciso da una cosca avversaria nel 2003, dal quale ha “ereditato” gli affari della ‘ndrina, tra cui un fiorente traffico di droga. Maria Licciardi, 73 anni, è conosciuta anche ‘a Piccerella (la piccolina, in napoletano), membro dell’associazione criminale “Alleanza di Secondigliano” arrestata dai carabinieri all’aeroporto di Ciampino mentre cercava di scappare, il 7 agosto 2021, dopo due anni di latitanza: detenuta anch’essa nella Casa circondariale dell’Aquila (dove è stato rinchiuso anche Messina Denaro), dopo essere stata per anni a Rebibbia, è ritenuta responsabile di aver organizzato traffico di droga e racket delle estorsioni in quartieri di Napoli e di aver ordinato la morte di esponenti di cosche nemiche.

Carcere duro anche per l’anarchica Nadia Desdemona Lioce è stata un’esponente di spicco delle Nuove Brigate Rosse, condannata tra l'altro per aver fatto parte del commando che uccise i giuristi Massimo D’Antona nel 1999 e Marco Biagi nel 2002. Con lei, in altre celle, anche le brigatiste Laura Proietti e Diana Blefari, condannate per gli stessi delitti.



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