La carica delle sindache. Diversità, cura, servizio: un nuovo stile al potere
domenica 30 giugno 2024

C’è la sensazione di una maggiore oggettività quando si parla con i numeri. E se è vero che le sindache uscenti erano 2 su 29, è altrettanto vero che ora con le recenti elezioni amministrative 2024 le elette sono 8 su 29. È quindi possibile affermare che la leadership politica delle donne non solo sta cercando ma sta anche effettivamente trovando maggiori spazi e opportunità per affermare un nuovo stile di governo.

Il potere delle donne va oltre le dinamiche di partito, per affondare le sue radici in una nuova consapevolezza che l’essere donna non ha alcun bisogno di scimmiottare modelli maschili. Non serve né intraprendere una competitività aspra con i colleghi uomini, come in alcuni tempi bui del femminismo arrabbiato, né tanto meno chiudersi nel guscio di un vittimismo femminile. Serve scoprire di cosa abbia bisogno la società oggi, cercando di cogliere la profondità del suo malessere, per provare a elaborare risposte mature e coraggiose, innovative quel tanto che serve per essere realmente efficaci, senza falsi stereotipi né di età né di genere.

La novità delle donne in pole position ha questo straordinario vantaggio: essere elette per la prima volta in ruoli finora declinati al maschile, che però mostrano attualmente una intrinseca fragilità. Una inadeguatezza che obbliga a cercare strade nuove e soluzioni nuove. Ed è proprio questo ciò che le sindache neo-elette dovranno provare a fare, senza aver paura, stando ben attente a non ripetere cliché stantii, che gli elettori per primi hanno bocciato. Ed è proprio qui una delle novità che mi piace mettere in evidenza.

Molte di loro hanno profili personali che raccontano di una lunga esperienza nelle professioni di cura; c’è chi vanta anni di impegno come psicologa o come fisioterapista; chi si è dedicata ad attività di formazione in molti ambiti diversi ma sempre riconducibili a quel tessuto sociale in cui la relazione di cura è il vero e proprio stile di governo. Elena Carnevale, prima donna sindaco di Bergamo, ha dieci anni di esperienza parlamentare e quasi altrettanti di fisioterapista. È sempre stata in Commissione Affari sociali e, pur stando in partiti diversi, abbiamo sempre trovato convergenze possibili al servizio dei più fragili, soprattutto quando si trattavano temi come la disabilità e la cronicità.

Come il famoso “Dopo di noi”, che tante preoccupazioni solleva tra i genitori con figli affetti da malattie rare. Sara Funaro a Firenze e Vittoria Ferdinandi a Perugia sono due psicologhe, ognuna nel proprio ambito specifico, ma sempre attente a cogliere i segni del disagio negli adolescenti e negli anziani, guardando soprattutto a quel malessere che a volte toglie anche la volontà di vivere. Adriana Poli Bortone invece non è alla sua prima esperienza: ha già guidato Lecce per due mandati, mentre ora scatterà il terzo.

Scelta per esperienza e competenza, potremmo quasi dire un vero e proprio profilo di maternità sociale nei confronti di una città che ha davanti a sé molte opportunità per sviluppare nuove competenze e creare nuove opportunità per i giovani. Ad Avellino ha vinto Laura Nargi, primo sindaco donna nella storia del capoluogo irpino, sostenuta solo da liste civiche. Ha battuto il campo largo della sinistra con un accordo sul programma, costruito insieme ai cittadini, contattandoli apertamente, coinvolgendoli il più possibile. Convinta e determinata a battersi su obiettivi essenziali per la città, attenta alle esigenze di tutti, ma senza alcun tipo di apparentamento. Ha mostrato di poter essere una donna forte al servizio esplicito della sua città.

Stili di leadership diversi, partiti diversi, sensibilità diverse, ma tutte con una esplicita convinzione: il potere come servizio, non a parole ma con i fatti di una vita spesa proprio in questa direzione. In alcuni casi abbiamo assistito a donne che hanno saputo imporre la loro leadership in una disputa leale e competente che vede affermarsi anche all’opposizione un profilo interessante di confronto. Darà i suoi frutti importanti nel prossimo futuro, perché è nella dialettica tra maggioranza e opposizione che si esprime la vera forza della democrazia.

Queste donne contribuiranno a cambiare il profilo della politica italiana, come accadrà in Europa, dove un terzo delle elette sono donne. Ovviamente l’auspicio è che il numero delle sindache si moltiplichi e che presto in Italia e in Europa ci sia una vera e propria parità uomodonna. Ma parità non vuol dire né uguaglianza né sterile rincorsa di una identificazione fortunatamente impossibile. Serve maturare la consapevolezza che la diversità politica, analogamente alla bio-diversità, è la vera e propria forma di ricchezza per l’intero ecosistema, anche per quello umano. Il pensiero della diversità è il più idoneo a coltivare una cultura di pace e di sviluppo, sul piano economico e su quello della integrazione sociale.

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