Un momento del piccolo corteo a Casal di Principe (Caserta) per ricordare Don Peppe Diana, 19 marzo 2015 - Ansa
«La Chiesa campana non ha taciuto sulla camorra». Lo dice con fermezza il presidente della Conferenza episcopale campana, Antonio Di Donna, davanti alla platea di vescovi, parroci, religiosi, fedeli e studenti riuniti nell’aula magna del Dipartimento di Ingegneria dell’Università Luigi Vanvitelli ad Aversa, in provincia di Caserta.
Ma subito dopo ammonisce: «Le parole di denuncia provenute in questi anni dalla Chiesa campana e dalla Cei sulle mafie e sulla corruzione non sono passate adeguatamente nella nostra predicazione: la Dottrina sociale della Chiesa non può essere un optional di cui poter fare a meno nella pastorale». Da questa presa di coscienza è nata l’idea di «istituire una commissione in ogni nostra diocesi, che sostenga i parroci, li ascolti e sappia indirizzarli». La proposta di monsignor Di Donna raccoglie subito il plauso del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo.
«L’ascolto delle istanze provenienti dal territorio è una dimensione fondamentale della lotta al crimine organizzato», dirà successivamente Melillo nel corso del suo intervento a conclusione del convegno che commemora i 40 anni del documento “Per amore del mio popolo non tacerò”, diffuso nel giugno 1982 dalla Cec, mentre tra le strade di Napoli e provincia le bande camorristiche sparavano ad ogni ora del giorno, seminando terrore tra la popolazione. Erano gli anni della guerra di camorra che vedeva contrapposte la Nuova camorra organizzata e la Nuova famiglia, il cartello di clan camorristici che si opponeva alla Nco e alle sue migliaia di affiliati nel controllo degli affari illeciti in Campania.
Di fronte a questa vera e propria forma di terrorismo urbano, i vescovi della Campania decisero di pubblicare quel documento dal titolo ispirato a Isaia 61,2, facendolo distribuire in tutte le parrocchie delle diocesi della regione. Tra i sacerdoti campani che ebbero modo di leggerlo ci fu anche don Peppe Diana, ammazzato il 19 marzo 1994 dai killer del clan dei Casalesi mentre si preparava a celebrare la Messa. «Don Peppe – ricorda monsignor Di Donna – prese alla lettera quel documento, lo applicò nella sua parrocchia fino alla conseguenza estrema del martirio.
La Chiesa campana custodisce come una reliquia la copia di sua proprietà, contrassegnata da diverse sottolineature e appunti. Non a caso, don Diana utilizzerà lo stesso titolo per la lettera che lui e altri parroci di Casal di Principe fecero leggere nelle proprie chiese in occasione del Natale del ’91, nella quale si dicevano preoccupati per il clima di violenza che la camorra diffondeva sul loro territorio. Bisogna ripartire da questi esempi e ribadire nella nostra predicazione che non si può essere allo stesso tempo un cittadino disonesto e un buon cristiano».
Nel prendere la parola a conclusione del convegno, il procuratore nazionale antimafia, Melillo, fa il quadro della situazione in cui nacque il documento anticamorra della Cec: «Si sparava ogni giorno, il disegno di legge depositato da Pio La Torre – che introduceva il reato di associazione di tipo mafioso e il sequestro dei patrimoni dei mafiosi – giaceva alla Camera da due anni, per poi essere approvato solo dopo il suo assassinio. Si respirava un clima di impunità per i capi delle mafie. Grazie a leggi come quelle, oggi loro e i loro affiliati sono reclusi».
Secondo Melillo, non mancano le analogie fra la situazione di allora e quella che la Campania e le altre regioni in cui è più pervasiva la presenza delle mafie si trovano ad affrontare oggi. «All’epoca ci fu l’assalto della camorra ai fondi del post-terremoto – sfida largamente persa –. Oggi le mafie tentano di intercettare i soldi del Pnrr. Preoccupa il clima di silenzio intorno alla questione criminale, che appare relegata in un angolo. E preoccupa anche il fatto che i cosiddetti corpi intermedi siano indeboliti. Non si può peraltro chiedere alla sola magistratura di assumere una missione salvifica, che inoltre porterebbe inevitabilmente a derive antidemocratiche…».