Soccorsi in mare dalla Life Support - Liverani
«All Emergency staff! All Emergency staff!». È passata da poco la mezzanotte quando la voce metallica delle radio ricetrasmittenti ci scaraventa giu’ dai letti a castello. Tutte le 20 persone a bordo della Life Support, la nave di Emergency, devono indossare giubbotto autogonfiabile e caschetto e ritrovarsi sul ponte. Subito. Il natante che dal giorno prima ci era stato segnalato da Alarm phone è a poche miglia. Squadre di soccorso, team medico, mediatori culturali, logisti stanno per riprendere il lavoro già fatto nelle precedenti 13 missioni di quest’anno. E rimesso a punto da lunedi nelle esercitazioni, quando la nave è partita da Augusta in Sicilia.
La segnalazione parla di un barcone con 77 persone a bordo salpato quattro giorni prima da Bengasi in Libia. Siamo nell’area di Malta e questo è l’inizio di una nottata movimentata. A tratti tesa. Che si concluderà a prima mattina con una seconda operazione di salvataggio, un barchino di vetroresina stracarico di 41 migranti. Bilancio finale del tutto positivo, nonostante le onde di quasi tre metri: 118 persone tratte in salvo, tra cui una ragazza e due minori da Siria, Eritrea, Etiopia, Sudan, Bangladesh, Pakistan, Egitto e Palestina.
Al sicuro a bordo della Life Support - Liverani
La notizia di una imbarcazione in difficoltà era stata raccolta e rilanciata a istituzioni e ong verso le 13 di mercoledì: una barca a circa 200 miglia dalla Sicilia, nel mezzo del Mediterraneo centrale, con un moto ondoso importante che si fa sentire anche su una nave da 51 metri come la Life Support. Poi altre segnalazioni nel pomeriggio, arrivate da telefono satellitare alla ong Alarm phone. È la stessa barca? O sono due natanti diversi nella stessa area? Non è chiaro, ma si parte, non prima di aver segnalato all’Mrcc, il Comando generale del corpo delle Capitanerie di porto e Guardia Costiera a Roma.
Il barcone è sulla rotta prevista. Dal ponte di comando, a notte fonda, gli osservatori di turno h24 avvistano una piccola luce nel mare buio e nero. La Life Support accende tutte le luci esterne. Si calano i due gommoni, salgo sul Rhib one. La barca è a un miglio. Il gommone numero uno parte in planata sulle onde. I fari del Rhib one all'improvviso illuminano il natante. È un’apparizione. Una barca di legno azzurra da 10 metri, due motori fuoribordo, poca benzina, facce tese e occhi sbarrati. Quella luce brillante che ha permesso l'avvistamento è solo quella di un cellulare, ma che splende nella notte nerissima e inquietante. Il mediatore culturale dalla prua ora grida di stare calmi, che siamo italiani e li aiuteremo tutti. In inglese, poi in arabo e in tigrino. L’angoscia cala. No, quel gommone rombante con l’equipaggio vestito di rosso non è di nessuna milizia.
Inizia l’avvicinamento, la distribuzione dei giubotti salvagente, il passaggio dalla barca al gommone. Uno alla volta. Sempre con onde che allontanano e ostacolano le due barche, quella della disperazione e quella della speranza. Un’altalena pericolosa, con i natanti che salgono e scendono, costringendo Jonathan, il capo squadra ragusano in piedi sulla prua, e Edgar, il pilota catalano, a compiere miracoli.
Saltano sul gommone e si siedono ordinatamente in file serrate. Venticinque a trasbordo. Il mio sguardo incrocia il loro. «Thank you», dicono a me che non ho fatto niente, ma ho anch’io la divisa rossa. «Four days, no more food, no water», mi dice un giovane siriano. Alzo il pollice e gli sorrido. Ricambia, capisce che ce l’ha fatta. Ci vorranno più di due ore, tre viaggi e altrettanti trasbordi sulla nave per portare in salvo 77 persone.
Una volta in nave i migranti vengono registrati e visitati, a ognuno due coperte, una tuta pulita, una bottiglia d’acqua. La zona al coperto si va riempiendo. Finalmente, dopo le 4, torniamo in cabina, che divido con Luis, soccorritore portoghese, Filippo, infermiere palermitano, Jaime, medico spagnolo.
Ma alle 7 una nuova sveglia: «Boat in distress». Un’altra? Si, le barche in difficoltà erano effettivamente due. La seconda è stata segnalata a Malta da un mercantile di passaggio. E le autorità maltesi hanno allertato l’Mrcc a Roma. Nella risposta alla Life Support, che aveva annunciato l’intervento sulla prima barca, il Centro di coordinamento a Roma ha assegnato il porto di Brindisi per sbarcare i naufraghi – due giorni di navigazione con previsioni meteo avverse - pur sottolineando che la zona delle operazioni non sarebbe di competenza italiana, ma di Malta che da sempre ignora le richieste. Ed è lo stesso Centro di coordinamento di Roma che ha chiesto alla Life Support di occuparsi anche della seconda barca.
Il gommone Sar della Life Support - Liverani
Eccola, è piccola, di vetroresina bianca, carica di 41 persone, a poche centinaia di metri dalla Life Support. Ora è sorto il sole e si vede tutto chiaramente. Imbarca acqua, qualcuno la butta fuori con un secchio. Si avvicina pericolosamente alla nave. Giulia, mediatrice culturale palermitana, urla dal ponte della nave col megafono in inglese, francese, arabo di fermarsi e spegnere i motori, che arriverà presto il gommone. Il SAR team riparte. La nave si sposta per cercare di riparare dal vento l’azione di soccorso. Altri due viaggi e anche il secondo gruppo di naufraghi è in salvo. Sono fradici, battono i denti e tremano anche se c’è il sole. Nell’area coperta ci si stringe un po’ per fare posto ai nuovi arrivati. Un ragazzo del Bangladesh chiede se può telefonare a suo fratello.
«Tutte e due le imbarcazioni soccorse avrebbero potuto capovolgersi da un momento all’altro – commenta il capo missione Emanuele Nannini - e nessuno aveva giubbotti di salvataggio». Con questa 14esima missione in un anno sono 1.198 le vite salvate in mare da Emergency.