Luigi Di Maio al Quirinale dopo il colloquio con Mattarella. Ora il M5s deve decidere e velocemente (Ansa)
Il primo faccia a faccia tra M5s e Pd, dopo il via alla trattativa per un nuovo governo sancito giovedì al termine delle consultazioni al Quirinale, è in programma oggi alla Camera alle 14. Niente streaming però, a differenza degli incontri del 2013 e 2014. La delegazione dem è composta dai capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci, più il vicesegretario Andrea Orlando. Quella del M5s prevede i capigruppo Francesco D'Uva e Stefano Patuanelli e i due vice, Francesco Silvestri e Gianluca Perilli. Non è ancora stato fissato, però, quello che potrebbe essere l'incontro risolutorio: il faccia a faccia tra Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti. I rispettivi staff non escludono tuttavia che possa esserci domani. Intercettato dai gornalisti all'uscita di un ristorante Di Maio ha dichiarato: «Il taglio dei parlamentari si deve fare e basta, se non c'è non c'è nient'altro. Ma questi (il Pd, ndr) già litigano, li conoscevamo abbastanza..., si chiarissero un po' le idee».
Il riferimento fatto dal vicepremier è a una strada che resta piena di insidie: non bastassero le tensioni fra i pentastellati, sono tornate ad aprirsi quelle in casa democratica. Con al centro sempre Matteo Renzi. Succede che viene diffuso (sui siti di Repubblica e HuffingtonPost) un audio in cui l'ex premier ed ex segretario Pd, all'interno di una lezione tenuta giovedì (mentre al Colle andavano in scena le consultazioni) per oltre duecento giovani sui media e gli "spin" dei politici, sferra un forte attacco a Paolo Gentiloni, presidente del Pd e suo successore a Palazzo Chigi, accusato di aver provato a far saltare l'intesa con i 5 stelle. «È Gentiloni che ha fatto passare il messaggio di tre richieste di abiura da parte del Pd ai 5Stelle», gli si sente dire nell'audio in relazione alle condizioni, circolate appunto giovedì, del no alla riforma sul taglio dei parlamentari, dei due decreti-sicurezza da abrogare e della prossima manovra da definire nei dettagli. Condizioni che non rientravano nella trattativa per com'era stata impostata: «I 5 stelle ci avevano detto "noi ci stiamo se ci garantite che possiamo arrivare almeno al referendum sul taglio dei parlamentari"», rivela ancora Renzi prima di aggiungere l'avvertimento finale, a uso interno: «Nel Pd, ove vi fosse la rottura, sarà un caos. Se uno, contravvenendo alle regole interne, con un spin fa saltare tutto non è detto che il Pd arrivi tutto insieme alle elezioni».
Giovedì sera il passo avanti era arrivato sul filo di lana. Quando alle 18 Mattarella ha comunicato a Di Maio e Zingaretti che dopo due ore avrebbe parlato alla stampa, entrambi hanno inteso che il capo dello Stato, in assenza di segnali chiari, avrebbe accelerato la corsa verso le urne. A quel punto il capo M5s ha tagliato drasticamente i tempi della riunione dei gruppi e ha posto il quesito chiave: «Possiamo trattare con il Pd?».
Il sì è arrivato sofferto, giustificato dalla formula in politichese per cui ad incontrarsi, forse già oggi, saranno solo i capigruppo dei due partiti e solo per discutere del taglio dei parlamentari, per il quale manca l’ultima lettura. Tutti, in M5s, sanno che non è così. Che i capigruppo imbastiranno un discorso più ampio e che presto si vedranno faccia a faccia anche Di Maio e Zingaretti per capire se davvero possono mettere mano a un governo.
Quando alle 20 Di Maio comunica a Mattarella che i gruppi gli hanno dato l’ok, il capo dello Stato dà a M5s e Pd quattro giorni di tempo. Pochi minuti dopo, Zingaretti apre il tavolo: «Sui nostri principi e sui punti programmatici esposti da Di Maio si può lavorare». E così il segretario stempera la tensione con i renziani, che per tutto il giorno hanno temuto che il governatore del Lazio stesse giocando ad alzare la posta per far saltare tutto. Soprattutto quando, dopo le consultazioni mattutine al Colle, Zingaretti ha fatto filtrare che i cinque punti fissati l’altroieri in Direzione erano divenuti tre, due dei quali molto più stringenti: «no» al taglio dei parlamentari e abrogazione dei due decreti sicurezza. È sembrato, al fronte di Renzi, una "furbata" di Zingaretti per spingere Di Maio tra le braccia di Salvini togliendosi l’impiccio di un governo difficile. Nel frattempo fake news e false veline facevano e disfacevano la tela tra i due partiti.
Ma dopo le parole serale di Mattarella la molla è scattata. M5s nella riunione dei gruppi ha posto come "inizio" il quarto sì al taglio dei parlamentari, ma senza indicare i tempi. I zingarettiani hanno corretto la linea: va bene se si associa ad una nuova legge elettorale proporzionale che salvaguardi la rappresentanza. È ciò che vuole anche M5s, perché un sistema proporzionale serve ad arginare l’ascesa delle destre. Entrambi tolgono dal tavolo il tema della sicurezza, che ha bisogno di un tempo di decantazione per essere affrontato in una nuova cornice.
Ma questo del taglio dei parlamentari è solo un tema "di bandiera". Il nodo vero è il premier. Al Colle non sono stati fatti nomi. Nel Pd girano, in ordine sparso: Giovannini, Cantone, Severino, l’ex ministro della Cultura Bray. Lungo la giornata ha tenuto banco l’ipotesi della giudice costituzionale Cartabia. Fronte M5s, formalmente si tiene ancora il punto su Giuseppe Conte, sul quale però Zingaretti non rimuove il veto.
Il timore, nei dem, è che i pentastellati possano dire che se a Palazzo Chigi non ci va Conte allora ci deve andare Di Maio. Sarebbe una proposta difficile da digerire. Sul punto del premier sembra esserci buio fitto e si conta sul sostegno del capo dello Stato: se alle seconde consultazioni M5s-Pd si presenteranno con qualcosa di solido, Mattarella potrebbe estrarre un asso dalla manica. È inoltre ricevibile da M5s la proposta di Zingaretti di lavorare subito sulla manovra, per calmare subito mercati e avviare un dialogo proficuo con l’Ue.
Tuttavia la prudenza regna sovrana. Siamo a «carissimo amico», scherzano tra i 5s. «Ancora dobbiamo mandare le partecipazioni, altro che matrimonio», scherzano anche nel Pd. I gruppi parlamentari non sono pacificati. L’avvio ufficiale della trattativa ha consentito a Zingaretti di siglare una nuova tregua con Renzi. M5s rischia invece di esplodere. C’è una fronda che vuole parlare con la Lega. C’è un’altra fronda - guidata da Morra - che vuole fuori dai giochi Di Maio e tutti quelli che hanno trattato con il Carroccio. Il capo M5s si muove verso il Pd con il sostegno di Grillo, Casaleggio, Fico e Di Battista, ma pure lui barcolla quando Salvini gli offre la luna per tornare insieme. Quando M5s trema, si rifugia nel voto on line su Rousseau: le urne telematiche si apriranno prima del secondo giro al Colle. E nessuno dà per scontato l’esito.