Il presidente francese Emmanuel Macron e il nuovo cancelliere tedesco, Olaf Scholz, durante la loro prima conferenza congiunta al termine del Consiglio Europeo - Reuters
Niente tamponi per i vaccinati all’interno dell’Unione Europea, guai a toccare la libera circolazione. È tarda notte, le primissime ore di ieri, quando il presidente francese Emmanuel Macron e il neo cancelliere tedesco Olaf Scholz, lanciano un messaggio chiaro alla loro prima conferenza stampa congiunta, al termine del Consiglio Europeo a Bruxelles. Che smentisce la versione di alcuni media secondo cui si sarebbe imposta una «linea italiana» sul fronte Covid. Il più netto è Macron. «La Francia – spiega il capo dell’Eliseo – impone test molecolari a chi proviene da Paesi terzi, ma non abbiamo alcuna intenzione di imporli all’interno dell’Ue, perché ci teniamo molto al buon funzionamento dello spazio europeo».
Oltretutto, aggiunge, «al momento in cui una determinata variante viene rilevata in un Paese Ue, si diffonde molto rapidamente in tutti gli altri Stati membri. Per di più la maggior parte dei movimenti che ci riguardano sono transfrontalieri, esclusi da queste misure. Per questo l’efficacia di una tale misura (tamponi oltre al vaccino, ndr) è minima».
Più tardi Macron rincara la dose su Twitter. «Di fronte alle varianti del virus – scrive il presidente – dobbiamo continuare ad agire come europei. Le persone vaccinate non devono fare tamponi per viaggiare tra gli Stati membri dell’Unione Europea».
«La libera circolazione – gli fa eco Scholz, seduto accanto al leader francese – è per noi molto importante, e le nostre misure sono state scelte di conseguenza. Abbiamo imposto restrizioni per Paesi terzi da cui proviene un particolare pericolo, con l’obbligo di tamponi molecolari. Ma questo non vale assolutamente per i viaggi all’interno dell’Europa, siamo sulla stessa linea della Francia».
Insomma i due pesi massimi a livello Ue scendono a gamba alzata contro la posizione dell’Italia (e degli altri Paesi che hanno introdotto la misura) pur senza citarla apertamente. Del resto, secondo vari diplomatici, se nessuno ha voluto attaccare frontalmente Mario Draghi durante il vertice, le voci di malumore ci sono state. Ad esempio il premier spagnolo Pedro Sanchez e l’omologa estone Kaja Kallas hanno chiesto di evitare misure unilaterali, mentre il neo cancelliere austriaco Karl Nehammer ha messo in guardia dal minare il certificato digitale Ue, che, ha detto, «ha garantito la libertà di movimento nell’Ue».
Voci che si sommano ad altre critiche che avevano preceduto il vertice, come quelle dei premier di Belgio e Lussemburgo. Perché il timore di molti, Commissione Europea inclusa, è che cresca il numero di Paesi che chiedano tamponi anche ai vaccinati, seguendo un modello lanciato non dall’Italia (arrivata «terza») ma prima dal Portogallo e poi dall’Irlanda, poi anche dalla Grecia, aumentando il caos e la frammentazione.
Sul fronte Covid restano insomma divisioni, al di là del generico riconoscimento della necessità di un «coordinamento» evitando misure «spoporzionate». L’unità è semmai sul sostegno alla Commissione per una revisione della normativa sul certificato verde, già preannunciata vari giorni fa, ben prima del vertice, dalla stessa presidente Ursula von der Leyen. La quale, forte del sostegno dei leader (superata un’iniziale perplessità della Germania), ieri ha potuto annunciare (si parla di martedì prossimo) un atto delegato, che entra in vigore in automatico a meno che non si trovi una maggioranza qualificata di Stati membri per bloccarlo (pressoché escluso in questo caso).
Atto che, come già scritto ieri, prevederà la riduzione della validità del certificato verde Ue da 12 a 9 mesi, e questa volta in modo vincolante per tutti. Smentite seccamente, peraltro, le voci secondo cui l’atto potrebbe prevedere anche un riferimento alla necessità di aggiungere un tampone al certificato digitale: «Non se ne parla proprio – dice una fonte Ue ad Avvenire –. La modifica riguarderà esclusivamente la durata e il carattere vincolante».