Vaccinazione in una Rsa - Fotogramma
Un’eterna zona rossa. Mentre la gran parte d’Italia sta cautamente affacciandosi alla zona gialla, c’è una fascia di popolazione che da mesi vive in un isolamento rigido, probabilmente inutile, sicuramente frustrante e dannoso. Sono i due terzi degli anziani nelle Rsa e nelle case di riposo, per i quali non è consentito alcun contatto con familiari e volontari. Una condizione pesantissima, che può togliere la voglia di vivere.
L’allarme è della Comunità di Sant’Egidio, sulla base di un’indagine in 237 tra Rsa e case di riposo in 11 città e 10 regioni, con dati raccolti dai volontari. Per il presidente Marco Impagliazzo «il Piano nazionale di ripresa e resilienza deve essere l’occasione per superare l’istituzionalizzazione degli anziani. Il Covid – spiega – ha solo aggravato i problemi di un sistema che non funziona, fondato su un monopolio, con costi spesso superiori all’assistenza domiciliare possibile per moltissimi. Accogliamo con grande soddisfazione le parole del premier Mario Draghi che ha auspicato una "maggiore deistituzionalizzazione"».
Dallo studio emerge che il 64% delle strutture esaminate non consente alcun tipo di visita ai propri ospiti. Solo il 15% dei casi ammette amici e volontari. Le tanto pubblicizzate "stanze degli abbracci" dopo un anno sono presenti in meno del 20% delle strutture.
Il servizio video-chiamate, una delle misure più facili da realizzare, c’è in meno della metà delle strutture. In oltre il 61% è proibita ogni uscita, comprese quelle per effettuare esami medici specialistici.
Alla maggior parte degli ospiti non viene fornita nemmeno l’assistenza religiosa, diritto fondamentale negato nel 65% dei casi.
«I contagi che hanno provocato tanti lutti nelle Rsa – puntualizza Impagliazzo – sono stati provocati quasi sempre da personale non adeguatamente attrezzato o preparato. O da assurdi ricoveri di positivi nelle strutture per anziani. Non dai visitatori».
Sant’Egidio chiede quindi che «i diritti negati vengano immediatamente ripristinati e si proceda a un ripensamento profondo, com’è scritto nel Pnrr, a una "riconversione" delle attuali strutture verso un modello di assistenza - la richiesta - che consenta realmente agli anziani di essere curati e sostenuti sul territorio, a casa propria». L’esperienza di Sant’Egidio - case alloggio, case famiglia, badanti, assistenza domiciliare, monitoraggio di vicinato - dice che è una rivoluzione possibile.
Per Rsa e istituti ora bisogna agire subito. Sant’Egidio elenca le cose da fare: riaprire subito alle visite "in sicurezza" a parenti e volontari, con dispositivi di protezione e tamponi; particolare attenzione agli ospiti più fragili perché senza legami affettivi; lo si è fatto per i ristoranti con i dehor, anche le strutture per anziani devono allestire spazi all’aperto; durata adeguata delle visite, in molte strutture ridotte spesso a 15 minuti; possibilità di uscita per gli ospiti vaccinati; ripristinare attività di riabilitazione e socializzazione; realizzare in tutte le strutture un servizio di video-chiamate; garantire a tutti quelli che lo vogliono l’assistenza religiosa.
Drammatiche le testimonianze raccolte tra gli anziani. C’è chi sta perdendo la cognizione del tempo: «Quanti anni sono passati dall’ultima visita?». Chi non può usare il giardino della Rsa: «È grande ma è ricoperto di erba alta». Chi si arrangia come un vero internato: «Mia figlia si parcheggia accanto alla recinzione e parliamo da dietro le sbarre». E chi perde la voglia di vivere: «Non vedendo più il marito e la figlia si è lasciata andare ed è deperita sempre più».