martedì 29 maggio 2018
Praticamente pronta la lista dei ministri, probabilmente l'economista terrà per sé l'interim del Tesoro. Ma il Quirinale avverte: rischio voto in piena estate, senza un segnale dei partiti
Cottarelli nel pomeriggio al Colle. Forse venerdì la fiducia impossibile
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La squadra è pronta (e alle 16.30 il premier incaricato salirà al Quirinale a portarla a Mattarella), ma Carlo Cottarelli e il Colle riescono a tenerla al riparo dai rumors. Il dialogo tra i due è fitto, le caselle - poche - sono state tutte riempite. Una squadra «smart», snella. In cui il premier potrebbe assumere - nella prospettiva di una durata corta o cortissima - anche l'interim all'Economia, in modo da rappresentare l'Italia sia ai tavoli dei capi di Stato e governo sia al consesso dei titolari europei del Tesoro, dove si prendono le decisioni cruciali sui conti pubblici.
Per il resto i nomi sono quelli che girano sempre quando si parla di un esecutivo a forte impronta presidenziale: il prefetto Tronca all'Interno, Cantone alle Infrastrutture, Lucrezia Reichlin ed Enrico Giovannini per i dicasteri di spesa, Elisabetta Belloni agli Esteri. Tuttavia c'è un margine per la creatività di Mattarella, che comunque in questa lunga crisi vorrebbe lasciare segni di rottura rispetto al nascente bipolarismo sistema-antisistema in cui Lega e 5s vorrebbero incatenarlo.
Al di là dei nomi, tuttavia, le speranza che il governo Cottarelli incassi la fiducia sono minime, quasi impercettibili. I numeri parlano chiaro. Al momento l'unico gruppo parlamentare sostanzioso che ha annunciato il «sì» o comunque un via libera è il Partito democratico. I «no» alla Camera, sulla carta, sono 483. Al Senato 246. La maggioranza è un miraggio. In pochi giorni bisognerebbe recuperare 167 «sì» a Montecitorio e 85 a Palazzo Madama. Gli incerti rinforzi che potrebbero arrivare da parte di Leu e del gruppo misto sono assolutamente insufficienti.
Al momento non è nemmeno all'orizzonte un ripensamento di Forza Italia, nonostante Berlusconi, in campagna elettorale, avesse indicato in Cottarelli una risorsa anche per un esecutivo di centrodestra (analoghi apprezzamenti all'economista erano venuti nei mesi scorsi anche da M5s, ma era un'altra era politica).
Si fanno quindi i conti con il no alla fiducia. E Mattarella è pronto a prenderne atto, seguendo rigorosamente la prassi costituzionale
che segue una fiducia negata, accompagnata dall'assenza di qualsiasi maggioranza alternativa. Se quindi si ipotizza che Cottarelli possa tenere il suo discorso programmatico al Senato venerdì o lunedì, la settimana prossima il capo dello Stato sarebbe pronto a sciogliere le Camere e a indire nuove elezioni. In base all'intreccio tra il dettato costituzionale e la norma sul voto all'estero, le prime date utili per le urne sarebbero il 12 o il 19 agosto.
Già, un voto in pieno agosto non è una fantasia. Mattarella questo punto lo ha spiegato bene sia a Di Maio e Salvini, domenica, sia ieri ai suoi collaboratori: in nessun modo sarà lui ad architettare stratagemmi per consentire di rinviare il voto a settembre-ottobre. Nessuno deve poter dire che Mattarella tiene inchiodato Cottarelli alla poltrona, magari offrendo il fianco ad altre critiche. Devono essere i partiti a ingegnarsi in tal senso. E i modi, sostanzialmente, sono due. Il primo è dare la fiducia al governo o comunque consentirne la partenza con un gioco di assenze dall'Aula e astensioni. Ma le possibilità sono quasi pari a zero. Il secondo modo è una richiesta esplicita dei partiti al Colle di concedere un lasso di tempo al Parlamento per scrivere una nuova legge elettorale. Di Maio e Salvini, insomma, dovrebbero salire al Quirinale e chiedere di rinviare lo scioglimento delle Camere. Insomma la data del voto rischia di diventare l'ultima tappa dello scontro istituzionale in corso. E sta ai leader di M5s e Lega evitare il voto ad agosto.
Certamente Cottarelli sarà il rappresentante dell'Italia al prossimo G7 canadese, al Consiglio europeo di fine giugno su migranti e bilancio, l'11-12 luglio al summit della Nato. Appuntamenti ai quali si giunge, in ogni caso, con un minimo di interlocuzione con il Parlamento. Anche le scadenze internazionali potrebbero essere un buon motivo per non sciogliere subito le Camere. Insieme al motivo fondante, la volontà di centinaia di peones che, al netto di promesse di ricandidature, vedono svanire in un battibaleno (e con pochissime ore di lavoro sulle spalle) il sogno di una legislatura piena.


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