Primo Di Nicola (a sinistra), Luigi Di Maio e Iolanda Di Stasio lasciano la Camera al termine dell'assemblea congiunta del neo gruppo parlamentare di Insieme per il futuro - Ansa
Vuole cogliere l’attimo, Luigi Di Maio, sfruttando l’entusiasmo iniziale e provando a fare il massimo numero di scelte possibili prima che arrivino difficoltà e ostacoli. Così ieri il ministro degli Esteri ha riunito i suoi nuovi gruppi di Camera e Senato e ha indicato i capigruppo: Iolanda Di Stasio a Montecitorio e il giornalista Primo Di Nicola a Palazzo Madama.
Nessun doppio incarico per gli esponenti che hanno già un ruolo istituzionale mentre il coordinatore politico sarà l’ex ministro Vincenzo Spadafora. Ci sarà anche un responsabile per l’elaborazione del manifesto di Insieme per il futuro, Giuseppe L’Abbate. Per la Camera l’organigramma del direttivo è già definito: la trentenne Di Stasio sarà affiancata da un presidente vicario, Pasquale Maglione e da una vice, Maria Luisa Faro. Gianluca Vacca farà il tesoriere mentre Daniele Del Grosso, Vita Martinciglio e Margherita Del Sesto saranno delegati d’Aula. Per il Senato l’organigramma non c’è ancora perché manca ancora l’indispensabile simbolo con cui costituirsi gruppo autonomo e uscire dal Misto: sono in corso interlocuzioni con Bruno Tabacci per il logo di Centro democratico.
E dalla parolina "centro" si riparte. La mossa di Di Maio scuote un po’ tutti i partiti. Il Pd ha l’anima riformista in trincea perché vorrebbe aprire un dialogo esclusivo con il ministro degli Esteri, abbandonando Giuseppe Conte. Ma arrivano segnali di incoraggiamento a Di Maio anche da Forza Italia: Mara Carfagna, collega nel governo-Draghi, parla di scelte «coraggiose» e «positive», anche se non si sbilancia su eventuali interlocuzioni con i moderati di Fi. Mentre si spinge a ipotizzare fibrillazioni nella Lega dopo i ballottaggi. Insomma, qualcosa potrebbe incrinarsi nelle coalizioni forzate che si sono sfidare alle ultime amministrative. E nel Carroccio molti ricordano la pizza «almeno una volta al mese» che Di Maio e Giorgetti consumano insieme dai tempi del primo governo Conte.
Ma prima di ipotizzare di smembrare partiti strutturati, c’è da capire se ci sono margini di convergenza dentro l’attuale galassia centrista. Intanto, di fatto, si è formalizzata la netta separazione tra il movimento politico di Giovanni Toti e quello di Luigi Brugnaro. Carlo Calenda continua ad escludere nettamente ogni raccordo con Di Maio, mentre in serata, da Italia viva, arriva un segnale da Ettore Rosato: «Non facciamo la lista delle persone con cui non dialogare, facciamo la lista delle cose che dobbiamo fare». Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, in ottimi rapporti con il ministro degli Esteri, si mette in attesa: «Di certo continuerò a fare il sindaco di Milano». Poi bisogna capire, lui non vuole stare con «certa destra».
In molti vogliono capire Di Maio dove posiziona la sua creatura. E lui in qualche modo risponde: a favore della «stabilità» del governo Draghi e in prospettiva alla larga da «proposte populiste, sovraniste e qualunquiste». Vicini al Pd e a parte di Fi. Lontani da Lega e Fdi. Ma ciò cui deve sfuggire il titolare della Farnesina è l’ipotesi di voler giocare su più tavoli, ed è in fondo ciò che aspettano di capire Sala e altri sindaci.
Intanto sulla parte di campo che ha subìto la scissione, si attende di vedere come la rottura si sedimenta nella base. M5s e Conte sono bombardati dal basso di richieste di lasciare l’esecutivo Draghi, ma ciò significherebbe perdere l’asse con i dem e al contempo lasciar andare verso Di Maio altri parlamentari "governisti". Di Battista capisce questa fase dell’avvocato del popolo e lancia la sua proposta: se si va all’opposizione, lui tornerebbe a parlare col Movimento. E non si capisce bene se sia una mano tesa o una Opa ostile sull’ex premier.
A fronte di tanti scossoni, Conte si starebbe comunque orientando ad evitarne un altro: il voto sul doppio mandato, annunciato per fine giugno, potrebbe slittare a settembre.