Il dado è tratto. Il sottosegretario leghista ai Trasporti Armando Siri si deve dimettere. È il premier Giuseppe Conte a mettere la parola fine al balletto che da giorni agita il governo italiano. "Proporrò la sua revoca al prossimo Consiglio dei ministri", ha scandito in una conferenza stampa a Palazzo Chigi: "Il governo del cambiamento tutela i cittadini, non interessi di parte".
Consapevole delle implicazioni della sua decisione, il premier ha invitato da una parte la Lega "a considerare che non è una condanna: non si lasci guidare da una ispirazione corporativa" e dall'altra il M5s "a non approfittare per cantare una vittoria politica".
Quanto alla vicenda della norma sull'eolico per la cui approvazione secondo l'inchiesta Siri avrebbe fatto pressioni per favorire imprenditori a lui vicini, ecco come la descrive Conte: "In questo caso la norma non avrebbe offerto chance future agli imprenditori, ma vantaggi retroattivi: era come una sanatoria, non era generale o astratta, e non disponeva per il futuro. Per questo, ho valutato l'opportunità e la necessità di dimissioni di Siri".
"La mia proposta di revoca", di cui "mi assumerò tutta la responsabilità politica", non comporta che "io mi voglia ergere a giudice", ma "le mie valutazioni sono più ampiamente politiche e ricollegate alle responsabilità che mi spettano quale massima autorità di governo".
Giuseppe Conte sperava di giocare d'anticipo, ma in realtà Armando Siri pochi minuti prima dell'inizio della conferenza stmpa ha diramato una nota in cui ribadisce la sua innocenza e promette di dimettersi non ora, ma nel giro di poche settimane. "Confido che una volta sentito dai magistrati la mia posizione possa essere archiviata in tempi brevi. Qualora ciò non dovesse accadere, entro 15 giorni, farò un passo indietro", spiega il sottosegretario ai Trasporti. Ed è su questo punto che Conte fa valere il suo ruolo. "Le dimissioni si danno o non si danno. Le dimissioni future non hanno senso", scandisce il premier "smontando" la tesi di Siri anche come avvocato.
Ora la questione diventa politica. Di fronte alla prospettiva di una crisi di governo, il vicepremier Luigi Di Maio mostra tranquillità: "Conosco la Lega e Salvini da 11 mesi. Sono persone di buonsenso e intelligenti. Aprire una crisi di governo su un sottosegretario coinvolto in un indagine per corruzione non sarebbe una bella immagine per la Lega e per un governo che si definisce del cambiamento".
L'altro vicepremier dall'Ungheria dice che a lui "va bene qualunque cosa, se me la spiegano", parlando del caso come di una "vicenda locale che non ferma il governo". Ma ribadendo la tesi secondo cui Siri dovrebbe parlare con i Pm prima di dimettersi. "In un Paese civile funziona così", sottolinea.
LA VICENDA
Il 19 aprile si diffonde la notizia di un’inchiesta per corruzione fra Palermo e Roma. Fra gli indagati, spicca il nome del sottosegretario leghista ai Trasporti Armando Siri. I pm romani ipotizzano l’esistenza di una tangente da 30mila euro, da parte di un professore vicino alla Lega e ritenuto in affari con un imprenditore agli arresti per contiguità con la mafia, per indurlo a scrivere un emendamento da inserire nel Def 2018, così da favorire l’erogazione di contributi a imprese di energie rinnovabili. Una norma tuttavia mai approvata. «Non ho fatto niente di male, non ho ragioni per dimettermi», si è difeso Siri. Ex giornalista di Mediaset, è considerato l’ideologo della flat tax, misura di bandiera del Carrroccio. Non è nuovo alle vicende giudiziarie: nel 2014, ha patteggiato una pena di un anno e otto mesi per bancarotta fraudolenta. La Lega fa quadrato attorno a lui, confermandogli «piena fiducia» e auspicando «che le indagini siano veloci per non lasciare nessuna ombra». Ma il M5s, Luigi Di Maio in testa, premeva per le dimissioni del sottosegretario al quale il ministro Toninelli ha comunque ritirato le deleghe.