Il Pd deve decidere cosa rispondere alla «chiamata» di Giuseppe Conte. Nella foto Matteo Renzi, a sinistra, con Nicola Zingaretti (Ansa)
Nella crisi più pazza del mondo spunta l’asse che non ti aspetti, quello tra Conte e Renzi. Voluto o involontario, implicito o esplicito... Non conta. I fatti parlano chiaro. Il premier uscente fa precedere da una voce il suo arrivo al G7 di Biarritz in Francia: parlerà e proverà a cambiare il corso del negoziato tra M5s e Pd, favorendolo. Accade davvero: «Un mio bis? Non è questione di persone ma di programma, i leader dei partiti lavorino bene e intensamente». Tutto qui? Per niente. «Ho maturato un’esperienza diretta al governo, credo di poter indicare temi e soluzioni: economia circolare, riforme, investimenti, lotta alla corruzione...». Inizia ad essere tanta roba. Ma non è finita. «Per me la stagione politica con la Lega è chiusa e non si può riaprire più per nessuna ragione».
È la bomba che cade sul negoziato M5s-Pd, che venerdì notte, durante la cena tra Zingaretti e Di Maio, si era arenato proprio sull’ipotesi del Conte-bis, caldeggiato dal leader pentastellato e oggetto di un veto incontrovertibile del segretario dem.
Ma dopo che Conte parla, entrano in scena Renzi e i suoi. Il primo a dire «bene il premier, aiuta a fare chiarezza», è Andrea Marcucci, presidente dei senatori dem e renzianissimo. Sono passati un paio di minuti dalle parole arrivate da Biarritz. Poi è lo stesso Renzi a prendere la parola: «Salvini ha chiesto pieni poteri ma rispetto a 15 giorni fa è in un angolo, quasi ko. Mi auguro che adesso prevalga la responsabilità. E che si pensi all’Italia, non all’interesse dei singoli».
È un messaggio a Zingaretti perché porti avanti convintamente il negoziato con M5s e non si lasci vincere dalla tentazione di andare alle urne per "derenzizzare" i gruppi parlamentari, favorendo però Salvini e le destre. Le parole di Renzi cadono mentre si conclude un vertice a Roma dello stesso Zingaretti con la sua "maggioranza": Gentiloni, Franceschini, Minniti, Paola De Micheli, Orlando, Martina, Fassino e Cuperlo.
In sostanza, Renzi chiede a Zingaretti di togliere il veto posto su Conte. Il segretario dem in mattinata era tornato sul concetto di «discontinuità» e aveva chiesto «lealtà» a M5s nel negoziato. Gli uomini a lui più vicino, come Orlando, avevano considerato la mossa di Di Maio di porre il Conte-bis come conditio sine qua non alla stregua di un ricatto irricevibile. Ma il colpo sparato da Renzi spariglia di nuovo, mette Zingaretti di fronte al bivio: tirare dritto e spaccare il partito o fare un’altra retromarcia.
Le parole di Conte e la reazione di Renzi avrebbero dovuto far felice Di Maio. Che invece non commenta. Per i renziani, è la prova che il leader M5s aveva messo in mezzo Conte per farlo "bruciare" da Zingaretti. Ma sono tesi difficili da confermare. Di certo i vertici del Movimento sono arrivati alla conclusione che degli ultimi corteggiamenti di Salvini non ci si può fidare, che le proposte del capo della Lega servono solo a far saltare il tavolo con il Pd e andare al voto.
Ma per far approvare l’intesa con i dem agli elettori di Rousseau, che saranno convocati on line forse martedì, c’è una solo possibilità: porre il quesito affiancandogli il nome di Conte premier. Altrimenti la votazione potrebbe vedere una vittoria dei «no» e il conseguente ritorno al voto, senza possibilità per i gruppi di opporsi. Su questa valutazione Di Maio, anch’egli dubbioso sull’accordo con i dem, ha dovuto convenire: Conte ora "garantisce" l’intero Movimento.
Salvini osserva e teme. Ormai confida che le castagne dal fuoco gliele tolga chi nel Pd vuole il voto. In serata spara un colpo al vetriolo che racconta la sua ira: «Lo stesso Conte che ci ha aiutato a fermare i barconi e chiudere i porti passa dalla Lega al Pd? Che tristezza». Parla apertamente di «trasformisti» e pensa alla piazza. Ma ai suoi ha ammesso: prepariamoci all’opposizione.