La marcia dei migranti partita due giorni fa dal centro di accoglienza di Cona.
La "Marcia della dignità" dei richiedenti asilo del grande hub di Cona non ha raggiunto Venezia. Ma l’impresa dei 200 giovani africani e bengalesi per chiedere più diritti e migliori condizioni di vita è stata comunque un successo.
Ieri, intorno alle 14.30, i pullman messi a disposizione dalle autorità li hanno prelevati a Mira, dove avevano trascorso la notte ospiti delle parrocchie, per accompagnarli in una serie di strutture disseminate praticamente in tutte le province del Veneto.
Nessuno di loro tornerà a Cona, esattamente come volevano.
«Cona non è un centro di accoglienza, ma una discarica umana», si sfoga Alassane Camara, 30 anni, ivoriano, una laurea in economia. «Siamo molto contenti di come si è conclusa la nostra protesta. Non si può fare integrazione senza diritti, senza documenti e senza poter imparare l’italiano». Camara è stato uno dei leader della protesta di questi giorni, scoppiata a causa del sovraffollamento e soprattutto del protrarsi dell’accoglienza nella ex base Nato. In molti tra i migranti che si sono messi in cammino si trovano a Cona da oltre un anno senza alcuna idea di come si evolverà la propria situazione.
«Spero di poter finalmente migliorare la mia vita grazie a un posto di lavoro, uno qualsiasi – guarda avanti Camara –. E ringrazio gli italiani per l’accoglienza che ci hanno riservato. Noi richiedenti asilo siamo convinti che il problema della nostra Italia siano i politici perché anche molti italiani soffrono: chiediamo diritti per tutti, dignità per tutti, una casa per tutti e vera integrazione».
Per la chiusura dell’hub si batte l’Unione sindacale di base, che ha seguito dapprincipio tutta la marcia. «Un terzo degli 11mila migranti veneti – spiega Aldo Romaro – sono stipati nei cinque centri di Cona (1.300), Bagnoli di sopra (800), Oderzo (300), Treviso (650) e Verona (350). È proprio questo che non funziona: l’ospedale di Chioggia per alcuni migranti di Cona ha emesso addirittura diagnosi di sindrome paranoide acuta per sovraffollamento. Ogni due mesi nel campo scoppia una protesta che ha sempre trovato un muro di gomma nell’organizzazione generale».
Determinante il ruolo giocato dal Patriarcato di Venezia. L’accoglienza messa in atto la notte scorsa dalle parrocchie di Mira ha mostrato una chiesa aperta e attiva. «Abbiamo cercato di alleviare una situazione che rischiava di deflagrare – ha detto il patriarca Francesco Moraglia al settimanale Gente Veneta –. Dare una mano, ospitare, accogliere, venire incontro a chi si trova in situazione di vero disagio: ecco quello che abbiamo fatto. Perciò ho chiesto alle comunità parrocchiali coinvolte di aprire le porte delle loro strutture. Sento, quindi, il dovere e la gioia di ringraziare tanti che si sono impegnati e mobilitati in queste ore con uno spirito di servizio, di sacrificio ed una generosità notevoli ed encomiabili. Oggi la sfida è costruire una società che sia realmente inclusiva, accogliente, capace d’incontrare gli altri anche innanzi a diritti che configgono. C’è bisogno che ognuno faccia la sua parte, non eliminando o accantonando difficoltà e problemi ormai "strutturali" per il nostro vivere di oggi ma aiutando concretamente a risolverli».
A Mira intanto si tirano le somme dopo la notte dell’accoglienza. «I giovani sono stati estremamente rispettosi ed educati – commenta il parroco di San Nicolò, don Gino Cicutto –. Per noi si è trattato di una prima volta. Quando una realtà come questa, normalmente lontana, in tv, ti capita in casa, la preoccupazione e il rifiuto lasciano il posto alla fraternità. Si vede la fragilità e la debolezza di questi ragazzi».
A Cona, intanto, i richiedenti asilo attendono di capire se la ricollocazione di ieri sia il primo passo per garantire un’accoglienza migliore a tutti.