Londra ha puntato sui vaccini ma ha lasciato circolare il virus - Ansa
La pandemia Covid-19, a oltre venti mesi dal suo esordio, appare come un fiume impetuoso le cui acque, tracimati gli argini, non cessano di allagare terre e villaggi. La profilassi vaccinale funziona come i muri di contenimento a protezione degli edifici più fragili che stanno a valle: dà ottimi risultati nel salvaguardare la vita di anziani, pazienti gravi e soggetti pluripatologici dalle forme più aggressive dell’infezione, e questo è certamente un bene per loro, per i medici e gli infermieri delle degenze intensive e subintensive, e per il sistema sanitario, cui viene evitato il collasso.
Ma – e questo è incontestabile sul piano degli studi clinici – gli attuali vaccini, che non sono di tipo “sterilizzante” (non impediscono di infettarsi e di infettare; riducono solamente la carica virale che si sviluppa nel contagiato e la probabilità di insorgenza di una sintomatologia maggiore), lasciano aperta la strada alla diffusione del virus nella popolazione, pur ampiamente vaccinata, se non vengono adottate sistematicamente e seriamente – stavolta a monte, vicino alla soregnte – altre robuste misure di profilassi, quelle di tipo fisico che creano una “barriera” contro la trasmissione virale (mascherine, distanziamento ecc...).
Proprio come l’acqua che scorre e si rinnova sempre nel letto del torrente, il virus Sars-CoV-2, come altri, è in continua evoluzione, non resta identico a quello che ha originato la pandemia. Per questo, siamo immersi in un quadro pandemico che non è lo stesso dello scorso anno. Tra le migliaia di varianti genomiche del virus sinora identificate, quelle di potenziale rilievo clinico ed epidemiologico sono classificate come “variante sotto indagine” (Vum), “variante degna di nota” (Voi), “variante preoccupante” (Voc) e “variante ad elevate conseguenze” (Vohc).
Sinora non è stata definita nessuna Vohc (quella che eluderebbe completamente le attuali vaccinazioni), mentre le Voc sono quattro: Alfa (B.1.1.7), Beta (B.1.351), Gamma (P.1) e Delta (B.1.617.2). Quest’ultima è responsabile della larga maggioranza dei casi di Covid attualmente identificati in Italia, in Europa e in Usa. Le Voi sono due, Lambda (C.37) e Mu (B.1.621), isolate in Sud America. Sta per entrare tra le Vum (attualmente sono 16) anche una delle venti varianti derivate dalla Delta, la AY.4.2 (Delta plus), sinora significativamente presente in Inghilterra, dove si diffonde e ha raggiunto oltre il 6% dei tamponi positivi sequenziati. Nel nostro Paese sono oltre 90 le sequenze di Delta plus sinora registrate.
Non infondate sono le inquietudini tra gli esperti per questa variante, che presenta due ulteriori mutazioni nella catena degli aminoacidi della proteina Spike, la A222V e la Y145H, presenti anche in altri ceppi sinora identificati. Evidenze preliminari suggeriscono che la Delta plus possa essere il 10-15% più trasmissibile della Delta e il sospetto che sia in grado di sostituirla come variante prevalente nei prossimi mesi nel Regno Unito (e da lì espandersi in Europa e in Usa).
Al momento non vi sono evidenze che possa dare luogo più frequentemente a quadri clinici gravi di Covid e lo stato di preallerta sanitaria in Inghilterra sta crescendo. Il Regno Unito ha realizzato un piano vaccinale robusto ma si è dimostrato meno attento alla profilassi fisica, consentendo così al virus di circolare a livelli elevati pur mantenendo contenuti i ricoveri e i decessi legati al Covid. Questo favorisce l’insorgenza delle varianti e la selezione delle più aggressive ed elusive, perché le mutazioni genomiche insorgono in modo direttamente proporzionale al numero di replicazioni del virus nelle cellule umane, sia dei vaccinati che dei non vaccinati, e in questi ultimi le varianti subiscono anche un processo di selezione da immunizzazione, ossia sopravvivono preferenzialmente quelle meno facilmente neutralizzabili dagli anticorpi.