Manifestazion e a favore della proposta di legge sullo ius soli - Ansa
Negli equilibri dell’attuale Parlamento, un ruolo decisivo per l’eventuale ripresa dell’iter di una legge sulla cittadinanza (per chi è cresciuto in Italia, pur non avendo genitori italiani), come auspicato l’altroieri dal leader del Pd, Enrico Letta, ce l’ha di sicuro M5s, 'forza- cerniera' fra i due schieramenti, oggi mischiati nella maggioranza che appoggia Draghi. Per questo la penuria di dichiarazioni di esponenti pentastellati a favore di una legge simile fa capire che l’auspicio lettiano è probabilmente destinato a rimanere tale. Non è facile trovare qualche 5 stelle disposto a esporsi.
Fra i big, poi, ieri l’ha fatto la sola Paola Taverna, ma per dire che «con il presidente Conte sapremo trovare una sintesi, credo però che nell’attuale situazione politica ci siano altre priorità». Eppure, c’è stato un tempo - non lontanissimo - in cui non era questa la linea del Movimento su questo tema. Negli anni i grillini hanno teso a eludere questo delicato dossier, a non prendere posizione per via di alcune nette sortite (contrarie) del fondatore Beppe Grillo, tanto che forse pochi ricordano che una delle prime proposte di legge in materia, già a giugno del 2013, quindi subito dopo lo 'sbarco' in Parlamento, si deve proprio al Movimento: per la precisione, a uno dei deputati più vicini a Luigi Di Maio, Giorgio Sorial, oggi ex parlamentare, bresciano figlio di egiziani copti: era l’atto Camera 1204, che prevedeva uno ius soli temperato.
Come la pensasse Grillo, tuttavia, era noto già da prima delle elezioni del 2013. Il 23 gennaio 2012, a esempio, così si esprimeva sul suo blog: «La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e xenofobi che crescono nei consensi per paura della 'liberalizzazione' delle nascite». Nel Movimento degli inizi, tuttavia, una certa sensibilità sul tema era presente. Piegata ben presto a quella dose di 'opportunismo' che anche in questa forza politica ha preso piede. Prendiamo a esempio Alessandro Di Battista, storico esponente 'estremista' e per sua stessa definizione «cittadino del mondo»: pur firmando anch’egli la proposta Sorial, nel 2013 disse (dopo aver precisato - non si sa mai - che lo faceva «non perché lo scrive Beppe ») che «sono la 'campagna elettorale permanente' e la distrazione di massa che hanno distrutto questo Paese, e questo tema ora è usato in modo strumentale».
Meglio non parlarne, quindi. Una 'abilità' mostrata anche dall’allora capogruppo Vito Crimi che, sempre nel 2013, argomentava: «Sono a favore dello ius soli, ma non vogliamo che si dimentichi che oggi la vera emergenza è quella della crisi economica». Ancora più bizzarro è il caso di Walter Rizzetto: firmatario pure lui della pdl, negli anni si è allontanato dagli stellati, fino a confluire in Fratelli d’Italia che dello ius soli è acerrimo avversario. Così, di emergenza in emergenza, col passare degli anni il capitolo 'cittadinanza' è sempre rimasto in coda. E quando, il 13 ottobre 2015 (governo Renzi in carica), si arrivò a un voto alla Camera su un testo unificato fra le varie proposte, M5s finì con... l’astenersi. Il ddl poi si arenò, nell’anno successivo, nel passaggio in Senato, come a volte capita. Intanto, la posizione del fondatore andava 'affinandosi': «Non abbiamo né spazio, né lavoro per dare la nazionalità a ogni persona nata in Italia », rispose Grillo al giornale Le Monde, richiamando frasi tipiche della destra (come oggi rinfaccia il dem Orfini). Fino ad arrivare all’ultimo mantra, propugnato da Grillo (nel frattempo spintosi a definire «un pastrocchio invotabile» il testo allora all’esame del Parlamento) a partire dal giugno 2017: lo ius soli (o culturae) è «tema che va affrontato a livello europeo, non nazionale».
«Chi diventa cittadino italiano diventa cittadino europeo, quindi il tema va affrontato con una disciplina unica», fu il concetto ripetuto a settembre di quell’anno anche da Di Maio. Lo stesso Roberto Fico, oggi presidente della Camera, che pure ha cercato sempre di distinguersi su questo versante, non si è mai spinto troppo in là: «Un bambino è giusto che dove nasce abbia la cittadinanza, ma va fatta una cosa ordinata e fatta con il resto dell’Ue – sosteneva nel 2017 –. Nel M5s guardiamo i provvedimenti solo per capire se siano buoni o no». E lì il Movimento è rimasto.