Cesare Mirabelli, già presidente della Corte Costituzionale e docente universitario, sembra esserne convinto. «A prescindere da ogni considerazione giuridica, credo si possa parlare di un atto di intolleranza – ammette il giurista – pur in un contesto, quello scolastico, dove dovrebbe essere insegnato il contrario». La traduzione del 'caso' in termini giuridici è un invito a nozze per Mirabelli... «Se è vero che la regolamentazione vigente sui simboli religiosi, che li vuole affissi nelle aulee, può sembrare datata, è altrettanto vero che, chiamato ad esprimersi sull’argomento, il Consiglio di Stato ne ha riaffermato la validità. Inoltre, rispetto a un ricorso internazionale contro il crocifisso in aula, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, attraverso una sentenza definitiva della Grande Camera, ha chiarito che la presenza in classe di questo simbolo non lede né il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni, né il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione».
Dunque... «non è rimesso alla scelta di qualcuno se toglierlo o meno. Né vi possono essere differenti interpretazioni da scuola a scuola». Altro che ognuno si regola come ritiene opportuno... «A voler essere ancora più precisi – aggiunge Mirabelli –, nella sua sentenza il Consiglio di Stato ha voluto stabilire che, oltre al valore religioso, il Crocifisso 'è un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili' (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, etc…) che hanno un’origine religiosa, ma 'che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato'». Del resto, conclude Mirabelli, il laico antifascista Piero Calamandrei propose di affiggere, nei tribunali, il crocifisso non alle spalle ma davanti ai giudici, per ricordare loro le sofferenze e le ingiustizie inflitte agli innocenti».