La spending review di Mario Monti vede la luce al termine di un doppio Consiglio dei ministri, giovedì sera e ieri mattina, inframmezzato da una conferenza stampa tenuta a notte fonda, quasi a sottolineare la straordinarietà del provvedimento. Un’operazione complessa di ristrutturazione della spesa pubblica la definisce il premier, che respinge seccamente l’accusa di nuovi tagli lineari. Riduzione degli organici nei ministeri e nelle forze armate, dimezzamento delle auto blu, scure sui trasferimenti a enti locali, sanità, e difesa, chiusura di centinaia di uffici giudiziari. Questi i titoli principali del provvedimento, sostanziato anche grazie a Enrico Bondi, alias "mister forbici", che ha messo nel mirino i costi degli acquisiti di beni e servizi di tutte le Pa. Il decreto legge, firmato ieri sera dal presidente Napolitano, è salito da 17 a 23 articoli in dirittura d’arrivo, imbarcando anche quel dimezzamento delle Province (dovrebbero restarne una cinquantina più 10 città metropolitane) che sembrava dover slittare. Nel complesso la dieta dimagrante consentirà di risparmiare 26 miliardi: 4,5 già nel 2012, 10,5 nel 2013 e 11 nel 2014. Fondi che serviranno a rinviare di nove mesi l’aumento dell’Iva, una mannaia che sarebbe calata da ottobre sulle tasche degli italiani. L’aumento dell’imposta è scongiurato fino a tutto giugno 2013 ma il governo si è impegnato a trovare le risorse per evitarlo del tutto. Serviranno altri sei miliardi di tagli strutturali, ha detto il viceministro dell’Economia Vittorio Grilli. La corsa a tappe della spending review si dovrebbe quindi arricchire di un terzo atto dopo le ferie estive: i prossimi interventi sono affidati al lavoro istruttorio dell’economista Francesco Giavazzi sui contributi pubblici alle imprese e a quello di Giuliano Amato sui costi della politica, oltre che alla revisione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale. Per il governo il taglio della spesa messa in atto «non incide in alcun modo sulla quantità di servizi erogati ai cittadini».
Gli statali Il decreto va oltre il blocco delle retribuzioni e del
turn over già messo in atto gli anni scorsi prefiggendosi un ridimensionamento degli organici con strumenti che partono dal pensionamento anticipato e comprendono la mobilità e, in ultima ipotesi, il licenziamento. Lo Stato, finora "paradiso" del posto fisso, si avvicina almeno sulla carta al lavoro privato. Per le amministrazioni centrali – ministeri, agenzie, enti pubblici vari – il decreto stabilisce la riduzione del 20% delle dotazioni organiche dei dirigenti e del 10% per il resto del personale. Taglio del 10% anche per i militari. Si tratta di percentuali medie che potranno oscillare nelle singole amministrazioni. Ne saranno escluse scuola e università, sicurezza e giustizia, oltre alla sanità.Per il personale in eccesso è prevista una deroga alla riforma Fornero: sarà mandato a riposo chi aveva diritto alla pensione entro fine 2014 (slitterà però la liquidazione). Per chi non ne ha i requisiti si avvia un percorso di mobilità con ricollocazione in altri uffici, oppure passaggio a un contratto a tempo parziale (e taglio dello stipendio) o infine collocamento in disponibilità fino a 24 mesi (all’80% della paga base) al termine dei quali, se manca una possibile ricollocazione, scatta il licenziamento. Nelle amministrazioni locali (Comuni, Regioni, ecc.) il taglio degli organici non sarà automatico: colpirà solo quelle che eccedono del 40% il parametro medio nazionale di personale in servizio. Alla fine secondo fonti della Funzione pubblica e dei sindacati, le eccedenze nei ministeri sono intorno alle 7mila e salgono a 10-15 mila considerando enti centrali e agenzie. Alle quali vanno aggiunte alcune migliaia di militari. Prematura ogni stime sugli enti locali. Per il mondo del lavoro pubblico arrivano anche la dieta sui buoni pasto (massimo 7 euro), l’obbligo di godere le ferie e la "pagella individuale" per misurare il rendimento. E un cedolino unico per gli stipendi.