Ingiuste detenzioni e processi troppo lunghi. Due anomalie del sistema giudiziario a cui bisogna far fronte, anche per il peso sul bilancio dello Stato. Il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, parla davanti ai penalisti della provincia di Padova e snocciola i numeri dell'ingiustizia. «Dal 1992 ad oggi sono oltre 26 mila, quasi 1000 l'anno», gli individui che hanno subito un' illegittima restrizione delle propria libertà personale prima di essere assolti con sentenza passata in giudicato, ricorda. «Numeri pesanti» che obbligano, per la seconda carica dello Stato, a una «necessaria riflessione sull'efficacia degli strumenti normativi predisposti per tutelare il massimo rispetto del diritto alla libertà personale» e preservare il sistema dal «rischio di errori».
l sistema giudiziario italiano, infatti, «ha prodotto costi enormi nei bilanci dello Stato, una vera e propria emorragia di preziose risorse finanziarie che potevano essere impiegate per sanarne le lacune». Secondo l'ultimo monitoraggio sullo stato delle pendenze penali, circa il 20% dei provvedimenti incardinati nei Tribunali e oltre il 40% di quelli presso le corti d'Appello sarebbe a rischio di Legge Pinto (legge sui risarcimenti per processo troppo lunghi, ndr). «Il mancato rispetto del principio costituzionale della
ragionevole durata del processo - aggiunge perciò Casellati - nuoce non solo ai diritti degli imputati ma anche a quelli delle parti offese, vittime del reato quanto un sistema giudiziario incapace di dare una risposta rapida alla legittima domanda di giustizia». Un sistema giudiziario che anche a causa di tali anomalie si trova agli ultimi posti in Ue per efficienza ed efficacia. Per risolvere il problema, la sua conclusione, «occorre uno sforzo comune che richiami alle proprie responsabilità tutti soggetti coinvolti».
Sempre da Padova, il vicepresidente del Csm David Ermini invita a riflette sul «rischio di derive pangiustizialiste davvero serio nei tempi in cui viviamo». Perché il pericolo concreto «è l'avvicinarsi di un'idea sommaria di giustizia, quasi arcaica». Un'idea, ha proseguito Ermini, «dove la decisione del giudice viene valutata secondo fuorvianti e inesistenti legami con idee di popolo dal significato emotivamente ambiguo, più vicine all'immagine della piazza o della folla, che si collocano radicalmente all'opposto della struttura democratica della giustizia». Emblematica infatti resta, per lui, la reazione a livello istituzionale alla sentenza del Tribunale di Avellino sulla strage del bus sul viadotto Acqualonga.