L’integrazione è possibile e si realizza anche in luoghi difficili e complessi come Pescopagano, frazione di Mondragone al confine con Castel Volturno. Terra con fortissima presenza di migranti africani da anni, terra di sfruttamento e di emarginazione. Terra di violenze, come il 24 aprile 1990 quando un commando della camorra uccise cinque persone tra cui quattro migranti. Una storia di droga e intolleranza come dimostrò l’inchiesta dell’allora pm Raffaele Cantone. Terra abbandonata dalle istituzioni, unica realtà presente la Chiesa. Soprattutto la parrocchia di San Gaetano Thiene. Qui domenica pomeriggio è cominciata la visita pastorale del vescovo di Sessa Aurunca, Orazio Francesco Piazza. «Ho scelto questo luogo perché i segni, i simboli hanno valore. Perché l’impegno deve essere più forte dove i problemi sono più forti. Ma vanno risolti col cuore, non col politicamente corretto», spiega.
Quattro giorni intensi di incontri con le diverse realtà della comunità. Iniziando dalla parrocchia. Chiesa piena, almeno un quarto dei fedeli sono africani: uomini, donne, bambini. Intonano i loro canti ritmati, accompagnati dai tamburi, mentre tut- ti i fedeli battono le mani a tempo. «Grazie Dio per quello che hai fatto, grazie Dio per aver fatto noi», dicono alcune parole del canto come ci spiega uno di loro. E mentre il canto avvolge tutta la chiesa, alcuni migranti salgono all’altare donando al vescovo una stola con disegni etnici. «Siamo felici della tua visita – dice al microfono un rappresentante della comunità africana –. Sappiamo che anche noi abbiamo un posto nel tuo cuore di pastore. Il Signore benedica la tua visita pastorale ». Riparte il rullo dei tamburi. E il vescovo risponde. «Questa è casa vostra. Sappiamo quanto è stato duro per voi abbandonare la vostra casa, ma sappiate che quando superate questa porta entrate a casa vostra. Chi sta lontano dalla sua casa la deve trovare nel nostro cuore». Ricorda gli ultimi morti nel mare della Libia, «quanti bambini! Non ci dobbiamo abituare mai! Non abituiamoci alla distrazione e alla secchezza del cuore». Quindi un invito. «Quando siamo tristi suonate i vostri tamburi». E infine l’annuncio che giovedì saranno battezzati due nuovi cristiani, mentre altri cinque stanno facendo la preparazione. «Benvenuti tra noi!».
Gli africani rispondono coi tamburi e un Alleluja ritmato dal battere delle mani di tutti. Sorrisi, strette di mano. Foto di gruppo col vescovo che saluta molti per nome («Vengo spesso qui tra loro. Nei momenti difficili ma anche carichi di speranza»). È l’integrazione che vuole far uscire Pescopagano da una fama di “terra a perdere”. Ma non è facile. Così la parrocchia guidata da don Guido Cumerlato, quasi due metri di irrefrenabile attivismo, ha messo in campo tante iniziative. Un centro di accoglienza, assistenza sanitaria, un campo di agricoltura solidale. «Offriamo i servizi, ma poi la gestione è loro, perché integrazione vuol dire essere protagonisti», ci spiega il vescovo dandoci appuntamento alla fine della visita pastorale per fare il punto su problemi e iniziative e raccontarci anche i drammi del territorio. Ma ci tiene a lasciare un messaggio sulla strada scelta dalla Chiesa. «Concentriamoci sul bene da fare, solo così possiamo sconfiggere il male». Che è lì a due passi, sulla via Domiziana a Castel Volturno. Decine di ragazze, alcune giovanissime, attendono i clienti sul marciapiede. Minigonna e tacchi alti. Malgrado il freddo e la pioggia gelida. E le auto si fermano. Italiani. Ce lo aveva detto il vescovo Piazza elencando i drammi. «Prostituzione, caporalato, sfruttamento, anche di chi affitta le case in nero ai migranti mettendone anche 20 in una villetta». È l’altra faccia di questa terra che non va nascosta o negata, ma combattuta con azioni concrete come fa la Chiesa di Pescopagano. Ne scriveremo nei prossimi giorni.