giovedì 18 febbraio 2010
Il Presidente del consiglio: «Chi sbaglia non può pretendere di restare in nessun movimento politico». Poi rviela: «Vogliono farmi fuori fisicamente». E su Letta: «Fiducia, merita il Quirinale».
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Palazzo Grazioli, martedì sera. Sono venti minuti che Silvio Berlusconi ha gli occhi fermi sulle trascrizioni delle intercettazioni. I passaggi che interessano il premier sono quelli che riguardano Denis Verdini, uno dei tre coordinatori del Pdl. Berlusconi legge. Accanto a lui c’è Niccolò Ghedini. «Non vedo reati, vedo però toni che non mi piacciono», sussurra il Cavaliere. Poi, abbassando ancora di più la voce, ripete parole che uno solo ascolta: «Mi sento tradito da questa gente». Non vuole dire di più il premier. Non vuole spiegare chi l’ha deluso. Vuole però sottolineare un problema. «La corruzione sta diventando un’emergenza. E noi dobbiamo dare un segnale forte al Paese. Muoviamoci subito. Inaspriamo le pene. Altrimenti rischiamo di dover fare i conti con una nuova ondata di antipolitica».Non sono indicazioni; sono ordini. Ghedini si muove subito, vede Giulia Bongiorno la presidente della commissione Giustizia della Camera. Insieme lavorano a un testo che ha un solo obiettivo: dichiarare guerra alla corruzione. Nel pomeriggio l’avvocato del premier attraversa un corridoio di Montecitorio e annuncia: «Il testo è pronto». Si vuole capire e la domanda è una sola: verrà presentato oggi in Consiglio dei ministri? Ghedini annuisce: «Penso di sì». Si lavora senza sosta e a tarda sera arriva a Palazzo Grazioli anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Berlusconi va dritto e ripete la linea: «Voglio norme dure. Dobbiamo far capire alla gente che esiste una politica giusta, pulita, bella».Un passo indietro di qualche ora. Siamo all’hotel De Roussie, un lussuoso albergo nel pieno centro di Roma. Berlusconi e Fini sono seduti uno di fronte all’altro. C’è anche Gianni Letta. E c’è lo stato maggiore del Pdl. Il pranzo voluto per discutere dell’attualità politica inizia male. Fini ha letto le intercettazioni pubblicate da il Giornale sul fratello Massimo e grida il suo sdegno. «Silvio questa è la goccia che fa traboccare il vaso... Che c’entra la famiglia? Che cosa c’entrano gli affetti con la politica? Lo capisci che solo il tuo giornale ha pubblicato queste porcherie...». Berlusconi ascolta silenzioso, ma qualche ora più tardi, in uno dei saloni ovattati dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede dove si celebra l’anniversario della stipula del Concordato, guardo fisso negli occhi il presidente della Camera e si spiega: «Io Feltri non lo capisco davvero più... Giuro, dirò a mio fratello di vendere il giornale...».Lo scontro sull’ennesima intercettazione è solo una parentesi. Oggi la strategia di Berlusconi è anche la strategia di Fini. E si muove lungo tre direttrici: norme più dure contro la corruzione; giro di vite sulle intercettazioni; massima attenzione alle candidature perché chi ha commesso reati non può restare in un movimento politico. La strategia è definita. Le risposte decise e preparate in tempo record. Ma questo – spiega il premier – non significa che siamo davanti a una nuova Tangentopoli. «Perchè i partiti, tutti i partiti, hanno il finanziamento pubblico che non c’era nel ’92-’93...». Berlusconi davanti ai taccuini dei cronisti prova a minimizzare. Prova a parlare di episodi isolati. E per confermare quell’analisi si affida alle statistiche. «Su cento persone, si sa che non ci sono cento santi perché si sa che ci sono uno, due, tre, quattro o cinque persone che possono essere dei birbantelli o dei birbanti che approfittano delle loro posizioni per interesse personale. Un discorso che vale per i partiti, per le imprese private, e io lo so bene perché li ho avuti nelle mie, ma vale anche per i sindacati, per la magistratura e persino per i carabinieri... Un’arma straordinaria la cui solidità morale è riconosciuta da tutti, ma che, anche lei, ha vissuto casi di singoli che non si sono comportati come si dovevano comportare...». Si vuole capire. Si vuole andare oltre. E Berlusconi non delude. «Chi sbaglia e commette dei reati non può pretendere di restare in nessun movimento politico», avverte. Ma per deciderlo si deve attendere che le sentenze passino in giudicato o si deve agire subito? «Dipende da caso a caso: noi abbiamo deciso che le persone che sono sottoposte a indagini o processi in via di principio non debbano essere candidati». C’è voglia di intervenire con mano ferma. Berlusconi avverte: «I coordinatori regionali vaglieranno ogni candidatura. Non voglio nessuno in lista che sia compromesso... Non è possibile che per colpa di pochi dobbiamo perdere voti».E il premier disse: vogliono farmi fuori. Se Bertolaso non si tocca, figuriamoci il fido Gianni! Il presidente del Consiglio si è infuriato quando ha visto il nome del suo braccio destro Letta comparire nei verbali delle intercettazioni sui lavori del G8 alla Maddalena.  E non ha nascosto di temere un complotto contro di lui: «Visto che non riescono con me», si è sfogato con i senatori del suo partito, «cercano di incastrare i miei più stretti collaboratori». Sotto accusa c’è, come sempre, il clima creato da avversari politici e da certa magistratura: «Mi dicono che non devo andare in giro, che non devo fare campagna elettorale, che c’è ancora chi mi aspetta all’angolo per farmi fuori.» E ha aggiunto: «Già nel 1994 hanno cercato di farmi fuori con le indagini giudiziarie, con gli avvisi di garanzia. Poi hanno cercato di rovinare le aziende della mia famiglia, ma anche in questo non ci sono riusciti. Ed allora cercano di farmi fuori fisicamente». Quanto a Bertolaso e a Letta «la vera vergogna è aver pubblicato quelle intercettazioni» irrilevanti, secondo il premier, da un punto di vista penale, ma che «gettano solo fango e rovinano la vita delle persone». Non è possibile, ha incalzato, che certe parole al telefono si trasformino sui giornali «con trascrizioni maliziose». Un andazzo che, secondo il presidente del Consiglio, deve finire e al più presto. Così ha dato disposizione ai gruppi parlamentari di rimettere il prima possibile in pista il ddl sulle intercettazioni, rimasto fermo in Senato, da approvare possibilmente senza modifiche, per «fare finire questa barbarie» il prima possibile. Anche se, ha spiegato, lui ne avrebbe preferito uno ancora più severo. Berlusconi ha invece escluso tassativamente la possibilità che il governo possa varare un decreto sulla spinosa materia.La notizia di un accelerazione del ddl sulle intercettazioni viene confermata dal vicepresidente della Camera Italo Bocchino: «Non si può andare avanti così. Prima è, meglio è». Le opposizioni tornano sul piede di guerra. Il segretario del Pd Pierluigi Bersani spiega: «Si può e si deve intervenire, ma con misure che non pregiudichino le indagini giudiziarie. Quindi non è il caso di avere fretta. Limitare le intercettazioni potrebbe essere una pietra tombale sulle inchieste di mafia, che spesso partono seguendo altri tipi di reato». L’Idv incalza: «Senza intercettazioni – afferma il capogruppo al Senato Felice Belisario – non sarebbero emersi la corruzione e il vergognoso malaffare che c’è stato sugli appalti per il G8, sulla ricostruzione in Abruzzo, sui Mondiali di nuoto. Berlusconi parla di indecenza ma la vera indecenza è la legge con cui il governo vuole impedire ai magistrati di condurre la lotta alla criminalità». E anche l’Udc è critica. Il presidente dei senatori Gianpiero D’Alia sottolinea che è meglio che il ddl «rimanga a dormire».
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