Ad essere irretiti dal sinistro fascino, e dal miraggio di facili vincite, esercitato dal gioco d’azzardo, sono sempre di più i giovanissimi. Per questo Nomisma e Gruppo Unipol hanno creato l’Osservatorio Young millennials monitor, che oggi a
Bologna ha presentato i risultati della terza edizione dell’indagine che ha approfondito comportamenti e approccio dei 14-19enni italiani (11mila quelli coinvolti nello studio) verso il gioco d’azzardo. Con risultati affatto tranquillizzanti.
Forse l’unico dato non negativo è che nel 2016 gli studenti italiani che hanno “tentato la fortuna” almeno una volta è un po’ calato (dal 54% al 49%). Ma è pur sempre quasi un ragazzo su due, in numeri 1.240.000 giovani. La propensione al gioco è più alta al Centro (54%) e al Sud (53%), cala al Nord (42%), e interessa più i maschi (59%) delle femmine (38%), con quasi i tre quarti (72%) dei giocatori che dichiara di spendere meno di 3 euro alla settimana. Gratta & Vinci (sperimentato dal 35%), scommesse sportive in agenzia (23%) e online (13%) sono i giochi più popolari, mentre quelli più tradizionali come il Lotto perdono appeal.
Per i dati negativi c’è l’imbarazzo della scelta. Il 47% dei giocatori è minorenne. Il 27% dei giovani ha giocato a una o due tipologie di gioco, un altro 11% ne ha sperimentate fino a tre-quattro, l’11% almeno cinque, denotando una ricorsività preoccupante. Il 17% degli studenti delle superiori gioca una volta alla settimana o più spesso, cioè è un frequent player (in pratica un giocatore incallito), anche se nella maggior parte dei casi lo considera un passatempo occasionale. Proprio in come i giovani vedono il gioco d’azzardo si può intravedere uno dei rischi più gravi: lo percepiscono prima di tutto (32%) come perdita di denaro, poi c’è chi (17%) effettivamente ne avverte la componente di dipendenza o rischio, ma anche chi (19%) lo considera semplicemente un modo per occupare il tempo libero. Nel complesso, secondo il modello di screening elaborato dall’Osservatorio insieme all’Università di Bologna, i ragazzi con un approccio problematico al gioco sono il 5%. Un ulteriore 9% è considerato a rischio.
Che fare? Le conclusioni del rapporto indicano una serie di piste d’azione. Innanzitutto servono più informazione e trasparenza sui sistemi di controllo già esistenti. Bisogna anche parlare di più dell’impatto negativo che fenomeni quali il gioco problematico hanno sulla collettività, cioè in ultima istanza sui cittadini contribuenti, in termini assistenziali e di costi sanitari. E poi occorre creare maggiore consapevolezza sui rischi che derivano da un approccio non equilibrato al gioco d’azzardo, specie quando i soggetti coinvolti sono particolarmente esposti a tali rischi e quindi più vulnerabili, com’è appunto nel caso dei giovanissimi.
C’è ovviamente tanto da riflettere, infine, sul ruolo giocato in questa drammatica partita dalle istituzioni e dalle famiglie: «Tra i fattori predittivi che influenzano la propensione al gioco - ha dichiarato Luca Dondi, consigliere delegato di Nomisma - non c’è solo il profilo socio-demografico dei ragazzi ma anche le caratteristiche della famiglia di provenienza». C’è un abisso, ad esempio, fra la proporzione al gioco dei giovani in famiglie con un’abitudine al gioco rispetto a quelli di famiglie non giocatrici (64% contro 9%). Idem, o quasi, tra chi ha o non ha amici giocatori (64% contro 16%). Inoltre, il 36% dei giovani giocatori tende in famiglia a nascondere o ridimensionare le proprie abitudini di gioco. E se non lo si vuol dire a mamma e papà, evidentemente è anche perché si avverte che è cosa né giusta, né buona.