Con il suo mezzo migliaio di affiliati, le sue venti cosche "locali", le centinaia di "avvicinati" tra le file della politica e dell’imprenditoria, certo che la ’ndrangheta può occuparsi perfino di ordine pubblico su richiesta di un sindaco.È accaduto a Sedriano, diecimila abitanti, appena fuori Milano. Una vicenda che da sola riassume quale sia la portata della presenza mafiosa in Lombardia. È il 14 maggio del 2011 quando, preceduta dalle polemiche sul «Ruby-gate», piomba in paese la consigliera regionale Nicole Minetti. L’aveva invitata il sindaco Alfredo Celeste per premiare la "creatività femminile" delle sue concittadine. Per il primo cittadino non fu difficile prevedere proteste anti-Minetti. Così Celeste chiama al telefono il presunto boss Eugenio Costantino, che già gli diede una mano in campagna elettorale, come fece con l’assessore regionale Zambetti. Celeste suggerisce a Costantino di portare alla manifestazione alcuni «amici». E questi arrivano. In piazza le proteste si fanno sentire, ma alla serata bisogna attribuire una parvenza di rispettabilità. E gli «amici» intervengono, trascinando una suora, che si era unita al dissenso di altre donne, fin sul palco dove c’è Nicole Minetti. La religiosa eviterà di surriscaldare gli animi, non certo per arrendevolezza a quelle maniere. Il giorno dopo, infatti, consegnerà ai carabinieri un dettagliato resoconto di quanto gli fosse capitato la sera prima.La vicenda è finita nelle quasi 600 pagine di ordinanza del gip di Milano. Da mercoledì Celeste è ai domiciliari, Eugenio Costantino è invece in cella con gli altri indagati dell’ennesima puntata della saga politico-mafiosa in casa
lumbard.Secondo il Ros dei Carabinieri sono almeno mezzo migliaio gli affiliati che compongono le "locali", i clan territoriali che stanno colonizzando la Lombardia. Ad essi si aggiungono i fiancheggiatori esterni, i politici «avvicinati» e gli imprenditori «amici». Ogni
locale può esser composta anche da più famiglie mafiose che, per ragioni di coesistenza territoriale o di alleanza strategica, controllano lo stesso pezzo di territorio. Ad oggi sono state individuate una ventina di
locali, ciascuna delle quali funziona come fosse una "provincia" che sovrintende agli affari sporchi di tutta l’area circostante.Negli ultimi anni la direzione distrettuale antimafia di Milano ha scoperto infiltrazioni dei boss attraverso i subappalti per il raddoppio dell’autostrada Torino-Milano, nei cantieri dell’Alta velocità ferroviaria, nei lavori di ospedali come quello di Como, dove persistono dubbi sull’interramento di rifiuti speciali, e perfino nei cantieri per la costruzione di questure ed uffici pubblici. Attraverso una storica impresa lombarda, la "Perego strade", i clan calabresi tentarono l’assalto agli appalti per la Bre.be.mi, l’autostrada finita al centro di un’altra inchiesta, quella che ha portato all’arresto (per fatti non legati alla criminalità) di Franco Nicoli Cristiani, vicepresidente del Consiglio regionale lombardo. Il tentativo della Perego fu sventato dalle indagini antindrangheta che portarono a 150 arresti.Le centrali ’ndranghetiste più importanti sono quelle di Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Corsico, Legnano, Limbiate, Solaro, Pioltello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio e Seregno. Le analisi degli inquirenti non lasciano scampo a quanti sostengono che l’ascesa su larga scala delle cosche calabresi sia un fatto recente e perciò non ravvisabile nel passato. «Siamo già alla terza generazione» criminale, sostengono i rapporti di polizia. Una generazione «perfettamente mimetizzata e integrata».«Bravi ragazzi» come quel Giulio Lampada, calabrese in gessato scuro da manager, habitué della bella vita milanese. È lui che alla vigilia delle amministrative del novembre 2007 si spende nella raccolta di firme «verosimilmente destinate – scrivevano i giudici del pool antimafia – a sostenere la presentazione delle liste elettorali». Fin da allora, una firma per Forza Italia e una per la Lega Nord. Bene addentrato nei palazzi che contano, mediava «con le famiglie di Reggio Calabria» promuovendo incontri «incontri e riunioni con personaggi inseriti nei gangli vitali della società civile», grazie ai quali manteneva «contatti con appartenenti all’amministrazione giudiziaria in modo da ottenere favori».La cosca Lampada-Valle, indicata dagli inquirenti vicina al boss della ’ndrangheta Pasquale Condello, era capace di «’fare rete in relazione ai rapporti con la politica non solo a Milano e in Lombardia, ma anche in altre regioni d’Italia, come le Marche». Dalle indagini era emerso che il clan avrebbe anche ottenuto le licenze per aprire «un mini casino, una discoteca e anche attività di ristorazione», nel comune di Pero (Milano) nell’ambito di un progetto di riqualificazione di quelle aree «in virtù del prossimo Expo», grazie «all’interessamento» di un assessore comunale.