Gli entusiasmi dei 5 stelle per questa soluzione della vicenda Autostrade? «Ricordano molto quelli per l’abolizione della povertà», era una delle battute preferite ieri a Montecitorio. Assieme ai tempi, c’è in effetti un enorme punto oscuro che grava sul "compromesso dell’alba" (com’è stato definito): ma la famiglia Benetton, che ha evitato la revoca della concessione, incasserà soldi - e quanti - con questo accordo? Luigi Di Maio e Stefano Buffagni, esponenti di punta di M5s, ieri hanno voluto ribadirlo in modo secco: «Atlantia non prenderà un soldo pubblico, non è vero che è un grande affare per i Benetton». In realtà, può esser vero il primo punto, ma sul secondo ci sono dubbi. Nel patto manca d’altronde un elemento-chiave per dare un giudizio pieno: a che prezzo avverrà l’entrata di Cdp, con i soldi del risparmio postale degli italiani, nel capitale di Aspi? Per ora si è parlato di almeno 3 miliardi di fondi impiegati, ma potrebbero essere di più, anche per valorizzare la società e i nuovi investimenti che dovrà fare. E, ancora: a che prezzo avverrà la vendita di azioni Aspi ora in mano ad Atlantia (controllata al 30% dai Benetton) ai nuovi investitori graditi a Cdp? Da queste due variabili dipende molto dell’effettiva "qualità" dell’intesa sancita nel tribolato Consiglio dei ministri di martedì notte. Nell’immediatezza, la famiglia veneta ha manifestato «rammarico» per questo esito della vicenda, entrata in una fase critica dopo il crollo del ponte Morandi a Genova e il suo terribile corollario di 43 vittime. È innegabile che per loro ci sarà un’uscita da un business su cui hanno puntato negli ultimi 20 anni. Eppure malgrado gli entusiasmi grillini - per la famiglia l’uscita da Autostrade/Aspi non sarà una disfatta. Anche senza arrivare all’estremo opposto dei leghisti che, con Massimiliano Fedriga, commentano: «Mi pare una grande vittoria dei Benetton: vendono le azioni, ci guadagnano soldi, penso che abbiano accettato un’operazione per loro assolutamente vantaggiosa. E pagano sempre i cittadini». La verità, come spesso capita, probabilmente sta nel mezzo. Il valore di una futura azione Aspi ora non si può definire. Prima di tutto bisogna attendere la revisione formale della concessione e delle nuove tariffe, elementi in base ai quali si potrà capire il possibile rendimento degli investimenti. Comunque, da azionisti di Atlantia, i Benetton si troveranno in possesso di titoli di una società che, dopo l’innesto di capitali freschi da parte di Cassa depositi e prestiti, sarà più solida e 'appetibile' sui mercati. Quando decideranno di cederli, potrebbero ricavarne un incasso discreto: secondo primissime stime, potrebbe oscillare fra i 3 e i 6 miliardi di euro. Forse anche di più. Somme che, all’interno di Atlantia (oggi la società che controlla Aspi), potranno destinare ad altri investimenti. Giova ricordare che, per rilevare nel 1999 da Iri il 30% delle Autostrade privatizzate, i Benetton tramite la società "Schema28" versarono allo Stato 2,5 miliardi di euro all’epoca (5mila miliardi di lire). Poi, nel 2003 lanciarono l’Opa totalitaria per 6,4 miliardi, per un esborso totale di quasi 9 miliardi. Certo, per loro rimane il rimpianto per un settore che è stato una gallina dalle uova d’oro: dall’ultima relazione della Corte dei conti emerge che, nel 2017, le gestioni autostradali in genere videro schizzare di un altro 3,3% i ricavi da pedaggi, a 5,9 miliardi, mentre gli investimenti (tutti, non solo Aspi) crollarono del 10%, ad appena 959 milioni.
I Cinque stelle continuano a esultare. Ma con la vendita delle azioni i Benetton potranno recuperare buona parte dell’investimento. La Lega: hanno vinto loro
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