Gli asili nido comunali in Italia danno i numeri. Le tariffe delle rette rincarano a peso d’oro ogni anno in tutto il territorio, con disparità economiche da zona a zona che fanno della Penisola, una volta di più, il paese degli iniqui contrasti. Fra liste d’attesa chilometriche e numeri di posti in stallo, le famiglie con figli piccoli dunque si barcamenano con costi da scuola privata esclusiva. Il nuovo capitolo di spesa è stato aggiunto alla lunga lista del «caro infanzia» dall’ultima indagine di Cittadinanzattiva, diffusa ieri solo a poche settimane dall’allarme lanciato dalla Ragioneria generale dello Stato sui divari economici territoriali esistenti nelle scuole di ogni ordine e grado. Una salata mappa, che evidenzia come la spesa media per i nidi si aggiri intorno ai 297 euro al mese, che a conti fatti fa sborsare ben 3mila euro ogni 12 mesi ad una famiglia che usufruisca del servizio per 10 mesi l’anno, cifra che schizza a quasi 6mila euro se si risiede a Lecco, città più cara d’Italia con una retta pari a 572 euro al mese. L’analisi dell’Osservatorio prezzi & tariffe dell’organizzazione, si è concentrata sul parametro di una famiglia tipo di tre persone (genitori e figlio 0-3 anni) con reddito lordo annuo di 44.200 euro e relativo Isee di 19mila euro. Partendo da dati elaborati da fonti ufficiali delle amministrazioni comunali di tutti i capoluoghi di provincia, l’oggetto della ricerca sono state le rette applicate al servizio di asilo nido comunale per la frequenza a tempo pieno (in media, 9 ore al giorno) e, dove non presente, a tempo ridotto (in media, 6 ore al giorno), per cinque giorni a settimana. Il Sud, con la Calabria in testa (120 euro), la zona più economica (ma quella dove i rincari sono stati più pesanti), mentre la maglia nera spetta alla Lombardia, ad oggi la più costosa con ben 402 euro al mese. Nella classifica delle dieci città più salate, tra quelle che offrono il servizio a tempo pieno, si confermano, dopo Lecco, Belluno, Bergamo, Mantova, Sondrio, Treviso, Cuneo, Pordenone e Vicenza, mentre Udine subentra a Varese. Nella graduatoria di quelle meno care prevalgono invece le Cosenza, regina del «risparmio» con 110 euro, seguita da Roma, Chieti e Reggio Calabria. Ma a destare preoccupazione, secondo l’indagine, è la velocità di incremento medio delle tariffe: +1,4% rispetto al 2007-08, in linea con l’anno prima (+1,8%), a fronte di un +0,7% di 12 mesi precedenti. I rincari maggiori nel Mezzogiorno (+3,2%) e al Centro (+2,7). Ben 34 le città che lo scorso anno hanno visto un’impennata nei costi e 7 i capoluoghi che registrano incrementi a due cifre: Oristano (+51%), Ragusa (+29%), Catania (+20%), Viterbo (+18%), Trapani (+17%), Salerno (+14%), Pistoia (+11%). Inversamente proporzionali ai costi degli asili nido, si rivelano i posti disponibili: secondo i dati del 2007 in possesso del ministero degli Interni il numero degli asili nido comunali è cresciuto solo del 2,4% rispetto al 2006, quando la crescita era stata del 3,3%. A restare tagliati fuori dall’accoglienza sono il 25% dei richiedenti (lo scorso anno erano il 23%), una percentuale che sale al 27 se consideriamo solo i capoluoghi di provincia. La situazione più disagiata quella della Campania che vede il 42% di bimbi in lista di attesa, seguita da Lazio (36%) e Umbria (35%).«In tema di asili nido comunali – ha commentato Antonio Gaudioso, vicesegretario generale e responsabile delle politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva – l’Italia sconta un ritardo strutturale, espressione di una attenzione alle esigenze delle giovani coppie vera solo sulla carta. In questi anni, molti amministratori hanno parlato di tutela della famiglia e di asili nido solo in campagna elettorale. Gli asili nido – ha concluso Gaudioso – sono un modo concreto di prendersi cura delle famiglie e dei loro bisogni».
Il divario tra Nord e Sud. Non è soltanto una questione di costi. Il divario tra il Nord e il Sud d’Italia è notevole anche per quanto riguarda la distribuzione degli asili nido sul territorio. Stando agli ultimi dati del Ministero dell’Interno, relativi al 2007, la Lombardia è la regione con il maggior numero di strutture: 627 per circa 25mila posti disponibili. Al secondo posto si trova l’Emilia Romagna (538 nidi per 23.300 posti) e al terzo la Toscana (399 nidi con circa 14mila posti). Ultima regione è il Molise, con appena sei asili nido per 272 posti. A livello nazionale, a 39 anni dalle legge che li istituì, si contano 3.184 asili nido comunali a fronte dei 3.800 previsti già nel 1976. Il servizio è presente soltanto nel 17% dei comuni italiani. Nel loro insieme il 59% è concentrato nelle regioni settentrionali, il 27% al Centro e solo il restante 14% al Sud, territorio in grande sofferenza.Come è del tutto evidente, esiste una forte correlazione tra la presenza di strutture per la prima infanzia e il tasso di occupazione femminile. Al riguardo, tali livelli in Italia restano distanti dagli obiettivi fissati dal Consiglio di Lisbona nel 2000, che prevedevano il raggiungimento, entro il 2010, di un tasso di occupazione totale pari al 70% e per le donne pari al 60%. Anche da questo punto di vista, il nostro Paese è abbondantemente al di sotto della media europea di circa 12 punti percentuali, presentando un tasso di occupazione femminile superiore solo a quello di Malta.