Verrà presentato martedì il testo che punta a ridefinire un modello non solo sanitario, ma anche sociale: «I nuclei familiari vanno aiutati a custodire e sostenere i propri vecchi. Fa bene a tutti» - Siciliani
Riqualificare le case di riposo in un continuum sociosanitario in vista di un modello di cura e assistenza per gli anziani più fragili. È il senso del documento La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia presentato martedì 9 dalla Pontificia Accademia per la vita presieduta dall’arcivescovo Vincenzo Paglia che ci anticipa qui le linee essenziali del testo. VAI AL DOCUMENTO
Papa Francesco ha istituito la scorsa settimana la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, la Pontificia accademia per la vita presenterà dopodomani un nuovo documento sulla vecchiaia. Da dove nasce questa rinnovata attenzione della Chiesa per gli anziani?
Nel 1998, l’allora Pontificio Consiglio per i Laici, concludeva il documento La dignità dell’anziano e la sua missione nella Chiesa e nel mondo con queste frasi: «camminare con gli anziani e verso gli anziani è dovere di tutti. E ormai tempo di cominciare a operare per un effettivo cambiamento di mentalità nei loro confronti e per restituire loro il posto che a loro spetta nella comunità umana». Già in quel documento del Pontificio Consiglio un paragrafo si intitolava: Problemi degli anziani, problemi di tutti. Ed oggi ne vediamo l’attualità. Una drammatica attualità, rilanciata dalla pandemia che ha colpito di più in questa fascia debole della popolazione. La più debole ma tanto ricca di umanità, esperienza, spiritualità. Ed anche la fragilità della vecchiaia è una lezione da apprendere. In ogni modo va contrastata quella «cultura dello scarto», che il Papa chiede e richiede. Questa festa ed anche il documento della Pav vanno in questo senso.
Nel 2020 la Pontificia Accademia per la vita ha già pubblicato due ampi testi sul rapporto tra condizione degli anziani e pandemia. Ora arriva una terza riflessione. Dopo le analisi è il tempo delle proposte?
È responsabilità della Chiesa riconoscere e assumere una vocazione profetica che indichi l’alba di un tempo nuovo. La Pontificia Accademia per la Vita sta lavorando per una riflessione capace di coinvolgere tutti gli uomini e le donne di buona volontà, con i documenti già pubblicati e con altri che abbiamo allo studio. La pandemia ha cambiato radicalmente la nostra visione del mondo: ci siamo scoperti tutti più fragili, ma allo stesso tempo ci scopriamo forti nella misura in cui sappiamo unire le forze della scienza, delle relazioni sociali, dell’economia, in un grande progetto di solidarietà universale. La sofferenza che abbiamo vissuto e ancora vivremo deve farci riflettere perché ognuno di noi ha un ruolo da svolgere in modo responsabile. La Chiesa ha un grande insegnamento da portare: la fragilità, con gli occhi del Vangelo, può diventare una forza e uno strumento di evangelizzazione. Questo non è solo il tempo delle proposte. È molto di più. Si tratta di promuovere una prossimità effettiva verso i più deboli, di prendersi cura delle persone fragili, partendo dagli anziani e dai piccoli, le due generazioni dimenticate, provocando una nuova alleanza.
La stanza degli abbracci nella Rsa “Giovanni Paolo II” di Bollate, in provincia di Milano: un luogo per consentire agli ospiti di recuperare il contatto con i parenti, dopo il lockdown. - Ansa
Lei più volte ha auspicato un sistema integrato per la cura e l’assistenza delle persone anziane, con una nuova alleanza tra famiglie e sistema pubblico/ privato. Quali sono i punti fermi di questo progetto?
In questi mesi – faccio un esempio – l’Unione Europea ha invitato a promuovere nuovi modelli di cura per gli anziani, promovendo con creatività e intelligenza l’independent living, l’assisted living, il co-housing e tutte quelle esperienze che si ispirano al valore della cura reciproca, consentendo il più possibile alla persona di mantenere la propria vita nel suo habitat. In tale orizzonte, la promozione delle relazioni amicali è il modo più efficace per contrastare le piaghe della solitudine, dell’abbandono e dell’esclusione dalla vita che colpiscono moltissimo gli anziani. Tutto ciò è possibile. Va comunque promosso un cambio di paradigma.
Come si inquadra il documento che presenterete martedì con il lavoro che sta portando avanti la Commissione ministeriale da lei presieduta?
Di fatto convergono nella prospettiva di riorganizzare l’assistenza agli anziani ponendo al centro la persona dell’anziano partendo dalla assistenza domiciliare e accompagnandolo secondi i bisogni che via via emergono approntando un continuum assistenziale, sapendo che c’è bisogno non solo di assistenza sanitaria ma anche sociale. E il cuore della proposta – lo ripeto – è che l’anziano possa restare là dove sempre ha vissuto. Se c’è bisogno di ulteriori cure si approntano luoghi adeguati. Ma l’intento è sempre quello di tornare nei luoghi abituali, dove hanno vissuto una vita. È sempre un trauma essere sradicati. Lo è per gli alberi, quanto più per le persone! Certo, le famiglie vanno aiutate a custodire e sostenere i propri anziani. Fa bene a tutti. Soprattutto oggi: per la prima volta nella storia vivono assieme quattro generazioni. È una grande conquista. Non sprechiamola. I progressi della medicina e della scienza hanno allungato la vita. Ed è un gran bene. Ma guai se poi la scartiamo rinchiudendo gli anziani nella tristezza della solitudine e dell’abbandono! È indispensabile tessere una vera e propria alleanza tra le generazioni: tra ragazzi, giovani, adulti, anziani. È una ricchezza! Ma dobbiamo sceglierla e farla fruttare.