Il cibo costa troppo per gli italiani anche perché è un ottimo investimento per la mafia. Le analisi presentate al tredicesimo forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione, organizzato dalla Coldiretti a Cernobbio, fotografano un Paese sempre più povero dove anche la borsa della spesa diventa uno spartiacque sociale: tra i poveri e i ricchi, ma anche tra gli imprenditori onesti e la criminalità organizzata. Tutti d’accordo su un punto: il Paese sta pagando un prezzo insostenibile alla crisi mentre c’è chi si arricchisce illegalmente (un investimento su quattro in campagna è riconducibile alle cosche) e butta fuori dal mercato l’imprenditoria sana. Il risultato finale, come avviene in ogni oligopolio, è l’aumento dei prezzi e la creazione di nuova povertà.Mozzarelle e salumi, stalle e silos di grano sono diventati un business per le mafie: 14 miliardi di volume d’affari nel 2013 (+12%) secondo il rapporto Coldiretti-Eurispes presentato ieri. Nessuna tipologia merceologica sfugge ai boss, commodities comprese. Non ci sono neanche problemi di avviamento dell’impresa, visto che il più delle volte si passa dall’estorsione al passaggio di proprietà di attività presenti da anni sul mercato. La ricaduta sul settore primario è pesante: le agromafie possono contare su strumenti finanziari e distributivi paralleli, dai costi nettamente inferiori a quelli affrontati dall’imprenditoria legale. Spesso, la filiera criminale arriva fino al consumatore: sono almeno 5.000 i ristoranti e le pizzerie associati a Mafia Spa, esercizi che «non garantiscono solo profitti diretti, ma vengono utilizzati anche come copertura per riciclare denaro sporco» argomenta il rapporto. Si fa business anche utilizzando i terreni agricoli come discariche abusive, un giro d’affari di 3,9 miliardi; anche in questo caso siamo di fronte a un fall out, una ricaduta pesantissima, visto che la contaminazione dei suoli riguarda ormai 725.000 ettari, «una superficie grande quasi come il Friuli Venezia Giulia» ricorda un report Coldiretti-Ixé.Il fenomeno delle agromafie preoccupa gli agricoltori italiani quanto e più dell’agropirateria, con la quale avrebbe delle connessioni. Se il made in Italy "taroccato" che circola sul mercato mondiale vale ormai 60 miliardi di euro – la Coldiretti ha scovato in vendita all’estero un kit per falsificare il Parmigiano e il ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo ha dichiarato che chiederà l’intervento della Farnesina per farlo ritirare dal mercato – ormai il 15% del fatturato agricolo gravita nell’orbita dell’illecito. Il virus contagia anche l’indotto, in particolare la logistica, e fa lievitare i costi, perché il controllo mafioso delle produzioni agricole tende a moltiplicare le intermediazioni. Oggi i prezzi dell’ortofrutta, secondo l’Antitrust, arrivano a "triplicare" passando dal campo alla tavola (+294%) e secondo l’analisi di Coldiretti la responsabilità è anche delle agromafie che aggravano gli effetti della congiuntura. Si può dire, insomma, che Mafia Spa stia letteralmente affamando il Paese: da un lato crea nuovi poveri e dall’altro fa lievitare i prezzi dei beni alimentari, che non sono neppure più salubri. In base ai sequestri effettuati dai Nas nei primi nove mesi dell’anno, sono cresciuti del 170% i prodotti adulterati o comunque realizzati con ingredienti scadenti ed in violazione di legge. A pagare il conto di tutto questo sono soprattutto quegli italiani che oggi fanno i conti anche con gli spiccioli, un "mercato" che sta esplodendo. Con conseguenze choc: secondo un dossier distribuito al Forum, il 16 per cento degli italiani «conosce personalmente qualcuno» che per indigenza è stato costretto a rubare nel 2013 e tra questi ben due su tre (66 per cento) hanno sottratto prodotti alimentari. Le famiglie indigenti, secondo l’organizzazione agricola, ammontano 2 milioni e gli italiani che hanno chiesto aiuto alle istituzioni oltre 4 milioni (429mila bambini), concentrate soprattutto al sud. Il target che più direttamente degli altri è interessato però a cancellare il "costo-mafia" è costituito da coloro che considerano ancora il cibo una spesa indispensabile, da tagliare dopo l’abbigliamento, i viaggi e i telefonini. Un target che rappresenta, secondo il rapporto Coldiretti-Ixé, il 45 per cento degli italiani. Per salvarne il risicato potere d’acquisto, come ha spiegato il vicecomandante generale dei Carabinieri, Tullio Del Sette, si sta intervenendo sia in termini repressivi (500 tonnellate di pummarola cinese sequestrate a Nocera Inferiore, 13 arresti nell’ambito dell’operazione Wine Italian Company, per citare solo due esempi recenti) che normativi, anche internazionali: «Stiamo lavorando a una Convenzione internazionale – ha spiegato il generale – per diffondere un corpus iuris comune tra i diversi Paesi e garantire così una tutela penale internazionale della contraffazione alimentare».
Alcune stime indicano in 5mila i locali di ristorazione in Italia in mano alla criminalità organizzata, nella maggioranza dei casi intestati a prestanome.
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